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Il modello albese èanche un ltro: la forza di chi ama

Lorenzo Costamagna, Valentino Vaccaneo e Giovanni Battista Gianolio, tre esempi di sacerdoti vicini a chi soffre

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Sono stati a fianco degli ultimi, preti vicini alla gente e in particolare ai giovani. La comunità di Alba, anche a distanza di anni, non li ha mai dimenticati. Proprio in questi giorni il gruppo di solidarietà “Il pane di San Teobaldo”, ha intitolato il campo sportivo del Duomo di Alba alla figura di don Lorenzo Costamagna, morto all’improvviso due anni fa, la notte del 30 settembre del 2020 nella sua abitazione. Era collaboratore canonico della Cattedrale di Alba. Originario di Narzole, 65 anni, don Renzo era un prete molto conosciuto e molto amato nella diocesi albese: prima di arrivare in Duomo nel 2013, al fianco del parroco don Dino Negro con cui condivideva la casa al primo piano della Canonica di via Vida, era stato per lungo tempo parroco a Castagnito e prima ancora collaboratore nella parrocchia di Cristo Re. Uomo di cultura e di grande ironia, affiancava l’impegno verso gli ultimi e l’attenzione alla crescita dei più giovani allo studio della storia e dell’arte, con varie pubblicazioni e l’impegno nell’associazione culturale Padre Girotti. Operò sempre al fianco dei ragazzi, credendo nel valore riabilitativo e protettivo dell’aggregazione. Anche legato allo sport che riteneva importantissimo per la funzione di coesione sociale in grado di creare relazioni buone. Per anni è stato impegnato come docente di religione alla Scuola Media “Vida”, dopo esserlo stato alla Scuola Enologica. Grande tifoso del Torino, era un appassionato storico, autore di diverse pubblicazioni sulla chiesa locale. Ma soprattutto era una figura di sacerdote dalla non comune umanità. Rimasto senza genitori ancora in giovane età, era molto affezionato alla famiglia di origine. Era attento al mondo dei più piccoli, coi quali sapeva dialogare in maniera aperta, e a quello dei poveri, «ai quali dava tutto quello che poteva, spendendosi in ogni modo per dare loro un sollievo», ricorda chi lo conosceva.

«Tu sei un modello per tutti noi di attenzione agli ultimi e ai poveri» disse don Ciotti a don Valentino Vaccaneo, morto a 78 anni nell’agosto del 2012. Parallela alla città del tartufo, del vino e del turismo ce n’è un’altra, pressoché invisibile, che non ama le luci della ribalta, ma preferisce l’ombra. Non per nascondersi, ma per non apparire. Si tratta di una città piena di volontari e tanta umanità, che, senza proclami, aiuta le persone e insegna loro ad amare la vita, nel rispetto degli altri. Di questa città faceva parte don Valentino Vaccaneo. Dotato di una forte personalità, mai convenzionale tanto da essere considerato da alcuni fuori dalle righe, don Valentino è stato un sacerdote molto amato e seguito. Nato l’11 febbraio del 1934, in una numerosissima famiglia di Castiglion Tinella, don Valentino avvertì la necessità di mettersi a disposizione degli altri e per farlo scelse la via del sacerdozio. Ordinato sacerdote nel 1958, iniziò la sua missione come curato nella parrocchia del Duomo, di cui poi è stato parroco per una trentina d’anni consecutivi. Nel 1996 venne nominato parroco di Cristo Re, al fianco di don Stella. È in questo angolo di Alba che don Valentino realizzò a pieno il suo mandato: viveva a stretto contatto con i giovani, ai quali insegnava a vivere nei campi estivi di Saint Jacques. Proponeva una pastorale aperta al dialogo, organizzava centinaia di iniziative caritative e di accoglienza. È stato uno dei primi, nel capoluogo delle Langhe, a occuparsi delle problematiche legate alla droga e, in località Madonna di Como, fondò la cascina Vernazza, una casa di aiuto per i tossicodipendenti e le persone in difficoltà. Lavorava a stretto contatto con il disagio e in via Santa Barbara diede impulso allo sviluppo di una casa di accoglienza. Fece lo stesso nella sua parrocchia, dove decise di dedicare alcuni alloggi alle famiglie con problemi occupazionali ed economici. Sulla Gazzetta d’Alba curò per anni la rubrica “Riflessioni al vento”, sempre seguitissima.

Don Giovanni Battista Gianolio ricevette nel 2010 la medaglia d’oro della città di Alba come fondatore della scuola professionale Inapli. Nato a Isolabella il 12 novembre 1925 è morto ad Alba il 23 luglio 2010. È stato ordinato sacerdote il 9 ottobre 1949 ed è diventato viceparroco di San Damiano nel 1950. Dal 1953 insegnante di religione nella scuola media, nel 1958 ha ideato e realizzato la prima scuola professionale albese (allora denominata Inapli), per la preparazione professionale di addetti alle industrie albesi, in modo particolare per i settori industriali e dell’abbigliamento, di cui è poi stato fino al 1990 direttore. Nel 1965 è diventato il primo parroco della nuova parrocchia di San Cassiano, reggendola fino al 1996. Dal 1994 al 2004 è stato Vicario generale della Diocesi di Alba.

Con l’istituzione della scuola professionale, don Giovanni Battista Gianolio ha contribuito in modo decisivo alla formazione di quadri, operai e tecnici di elevata qualità professionale indispensabili per consentire la crescita delle più importanti aziende albesi e allo sviluppo di un robusto tessuto di imprenditorialità medio-piccola, che ha dato ancor maggiore solidità alla struttura economica dell’intero comprensorio.