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La nuova vita (colorata) delle ceramiche Besio

Un marchio storico rilanciato dalla famiglia Rovea: «Siamo ripartiti puntando sul valore artigianale»

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Passione, tenacia, costanza. E 180 anni di storia che rivivono grazie all’impegno della famiglia Rovea. Così rinasce lo stilema della ceramica Besio 1842: nel 2001 Gianni Rovea ha rilevato lo storico marchio, modelli e mascherine, rilanciando la produzione delle antiche maioliche monregalesi nel laboratorio di via Vecchia di Pianfei. Il laboratorio è frutto dell’amore per il territorio e per una tradizione che per circa due secoli, tra l’800 e il ’900, ha sostenuto l’economia locale grazie a stoviglie di terraglia tenera caratterizzate da decorazioni vivaci e riconoscibili, destinate al mercato europeo e a imbandire le tavole degli umili come dei ricchi e oggi divenute oggetti non solo di uso quotidiano, ma di collezionismo. Ma per capire le ceramiche Besio bisogna necessariamente partire dalla storia. È il 1842 quando l’albisolese Giuseppe Besio avvia la produzione di maioliche a Mondovì. Il monregalese è terra ricca di acqua, argilla, quarzo, manodopera e potenziali mercati. L’attività si consolida lanciando la tradizione della maiolica “Vecchia Mondovì” eseguita a pennello e spugna intagliata, con temi legati al mondo contadino. Su tutti il galletto dalla coda variopinta che diviene il simbolo della ceramica monregalese.

L’azienda cresce, passa di mano, infine chiude e rinasce con la famiglia Rovea. Quest’anno Besio celebra il suo 180° compleanno e ancora oggi, su ogni “pezzo” in uscita dal laboratorio, viene impresso il marchio “Ved. Besio & Figlio”, garanzia di qualità e originalità che si pregia del riconoscimento di Eccellenza Artigiana concesso dalla Regione Piemonte alle aziende artigiane che operano nel solco della tradizione. Oggi accanto ai galli, ai pizzi blu e ai motivi della tradizione si sviluppano anche nuovi linguaggi artistici. La vivace produzione si allarga: arrivano le mongolfiere, i palloncini, le creazioni personalizzate su commissione, la collaborazione con il Museo della Ceramica di Mondovì.

Come avete deciso di rilevare il marchio?

«Negli anni d’oro, a Mondovì erano 800 le persone che lavoravano nel distretto della ceramica e non vi era famiglia, prima che le aziende chiudessero (tra le quali Richard Ginori) che non avesse al suo interno almeno un parente impiegato nel settore. Pur­troppo 20 anni fa il mondo della ceramica europea è morto, i più previdenti avevano spostato le produzioni a est. La mia volontà è stata quella di riportare la produzione da industriale ad artigianale, ri­dando vita alle storiche produzioni. Nel 2000 ho aperto il laboratorio, la ceramica Besio, che all’epoca si trovava nella zona industriale, ha chiuso nel 2001. Ho rilevato marchio e modelli ricominciando con la produzione tradizionale insieme ad alcune decoratrici che già all’epoca lavoravano per l’azienda (anche io vi ho lavorato). Siamo passati da una produzione industriale ad artigianale e procurandoci i materiali di una volta siamo ripartititi dalla tradizione con produzioni in piccoli numeri. Tempi e costi, nel settore artigianale, sono diversi: per noi, un ordine di 200 pezzi, è imponente. Chi acquista da noi sa di avere un prodotto artigianale, unico, al contrario di quanto succede con i marchi di grande distribuzione».

In quanti lavorate all’interno del laboratorio?
«Io, mia moglie, mio figlio, due decoratrici esperte tra cui Rinuccia, una signora che ha imparato alla vecchia scuola e ha passato il suo sapere a un’allieva. Per lavorare in questo settore è necessario conoscere le tecniche: abbiamo bisogno dell’artigiano che sappia lavorare in piccole serie».

Quanto tempo è necessario per realizzare ogni singolo pezzo?
«Anche due settimane. Si tratta di un procedimento complesso che comprende varie fasi di lavoro necessarie per stampare, essiccare, rifinire, cuocere, verniciare e dipingere. Tant’è vero che cerchiamo di avere sempre in magazzino un semilavorato denominato “biscotto”, pronto per essere dipinto».

Quali sono i prodotti o le lavorazioni più in voga o che vengono maggiormente richiesti?
«Seguiamo con attenzione la moda internazionale. Mon­dovì è capitale del volo in mongolfiera e proprio la mongolfiera è diventato un simbolo che abbiamo inserito nella nostra produzione. Sono belle, piacciono e vengono usate spesso come bomboniere. Appro­fondiamo e studiamo tendenze e colori e abbiamo sviluppato nuovi linguaggi (palloncini, decorazioni natalizie e pasquali, piccoli animali, galli e galline…), ma chi viene da noi viene soprattutto per la tradizione».

Tra le vostre produzioni ce n’è anche una denominata “la pagina bianca”. Di cosa si tratta?

«Ci siamo resi contro che la gente non sa, e si stupisce, di poter scrivere qualcosa sulla ceramica, lasciarvi dei messaggi. La data di un anniversario, per esempio, del battesimo o del matrimonio. Ecco dunque l’idea di tradurre un momento particolare sulla pagina bianca della ceramica: è un modo per personalizzare l’oggetto e fare un regalo mirato (e irripetibilie)».

E per quanto riguarda il mercato? Qual è il pubblico di riferimento della ceramica monregalese?
«Abbiamo un sito con lo shop online, ma abbiamo notato che le persone preferiscono visitarci in presenza, vedere e toccare l’oggetto, saggiarne la consistenza. Abbiamo piccole produzioni private e personalizzate e rivenditori a Mondovì, Cuneo, Alba e Torino e poi spediamo la merce. Non di rado capita che durante l’estate passino persone a visitarci per prendere il nostro biglietto da visita e che nei mesi successivi ci arrivino ordini specifici. C’è poi chi ordina perché già ci conosce o ha visto un nostro pezzo in esposizione da amici o parenti. È una grande soddisfazione vedere l’apprezzamento per il prodotto».

Quando e come è possibile vedervi all’opera?

«Collaboriamo attivamente con il Museo della Ceramica nelle “Up” – Unità di Pro­duzione – laboratori durante i quali proponiamo dimostrazioni dal vivo e in cui è possibile assistere e partecipare in prima persona al processo creativo ripercorrendo il ciclo produttivo della ceramica monregalese, le tecniche e i filoni decorativi di circa due secoli di storia».

Articolo a cura di Erika Nicchiosini