Martedì 25 al teatro Sociale di Alba (ore 21) torna Aldo Cazzullo. È lui, vicedirettore del Corriere della Sera e albese doc, ad aprire la rassegna “Storia a Teatro” con “Il Duce delinquente”, show a due voci con Monia Ovadia tratto dal libro “Mussolini il capobanda”.
Cazzullo, si tratta di un appuntamento speciale per lei, ma anche per lo storico ruolo antifascista della città?
«C’è sempre molta Alba in tutto ciò che faccio. Vengo da lì, è dove ho imparato quello che so, la nostra storia. Ricordo che ad Alba la Dc prendeva il 50% che diventava anche 80% nei paesi delle Langhe. Il secondo partito era il Partito Liberale, poi i repubblicani, il Pci quasi non esisteva. Anche gli operai della Ferrero votavano democristiano. Eppure Alba è una città molto antifascista, dove l’Msi ai tempi era “non pervenuto”. Da ragazzi cantavamo “Bella Ciao” ma non eravamo neanche sfiorati dall’idea di fare una cosa di sinistra. Era un canto di libertà. L’antifascismo non è di sinistra, è un patrimonio dell’intera nazione, non di una fazione. Enrico Martini detto Mauri, comandante dei partigiani, era maggiore degli alpini e fece la Resistenza con il suo cappello dalla penna nera, uno dei suoi uomini era Beppe Fenoglio. E Fenoglio votò monarchia al referendum litigando con il suo maestro, il filosofo Pietro Chiodi. C’erano comunisti tra i partigiani, certo, ma anche monarchici, cattolici e ragazzi ventenni che non sapevano neanche cosa fosse un partito, ma che non volevano più combattere per Hitler… Ricordo che furono oltre 600 mila i militari internati nei lager che preferirono restare lì piuttosto che andare a combattere per Hitler, anche quella fu Resistenza».
Lo spettacolo rievoca l’epoca di cento anni fa: che Italia era, prima e dopo la marcia su Roma?
«Cento anni fa l’Italia era un paese in crisi, dove non funzionava più la democrazia liberale costruita anche da tanti piemontesi: il fondatore Cavour che fu sindaco a Grinzane; Michele Coppino commemorato recentemente dal presidente Mattarella e a cui dobbiamo la scuola laica, gratuita e obbligatoria; Giuseppe Saracco; Quintino Sella; Giovanni Gioltti; lo stesso Luigi Facta, presidente del consiglio deposto da Mussolini. I liberali, compreso il migliore di tutti, Giolitti, si illusero di poter usare Mussolini per combattere le sinistre senza rendersi conto che avrebbe causato la rovina dei liberali stessi».
Perché gli atti di violenza che hanno permesso a Mussolini di prendere il potere, sono passati spesso nel dimenticatoio?
«Ci siamo sempre raccontati la storia secondo cui fino al ’38 il duce le aveva azzeccate quasi tutte, peccato poi le leggi razziali, la guerra… Ma nel ’38 Mussolini aveva già provocato la morte di quasi tutti i suoi oppositori: Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli, Don Giovanni Minzoni. E nessuno di questi era comunista. La guerra non è stata il frutto di un impazzimento del duce, è insista nel fascismo stesso, aver mandato gli alpini della Cuneense in Russia senza scarpe adatte, a morire assiderati – in alcuni casi salvati dai contadini ucraini – anche quello è stato un crimine contro il nostro paese. E non dimentichiamoci mai delle 31 condanne a morte eseguite dal regime».
Che cosa le raccontavano i suoi nonni di quel periodo?
«Che erano costretti a prendere la tessera del partito fascista per lavorare. Quello del “Pnf”, partito nazionale fascista, era l’acronimo riletto come “Per Necessità Famigliare”. Mio nonno Lorenzo rifiutò quella tessera, tutti ricordano un’atmosfera plumbea. Il regime aveva il consenso ma è un concetto difficile da misurare in una dittatura».
A chi si rivolge principalmente questo spettacolo?
«A tutti. Io non sono di parte, non giudico le persone. Parlo di un periodo che non ho vissuto. Ma so che c’era una parte giusta e una parte sbagliata. Il che non vuol dire che coincidessero con il bene e il male assoluti. Come adesso: tra gli ucraini ci saranno anche mascalzoni e tra i russi tante brave persone. Ciò non toglie che ci sia una parte giusta, quella ucraina, e una sbagliata, quella russa».
Come sta andando il libro?
«“Mussolini capobanda” è attualmente il più ordinato su Amazon, sta andando benissimo e ne sono felice. Da qui abbiamo tratto lo spettacolo nel quale racconto alcune storie, così come avevo fatto già un anno fa sempre al Sociale parlando di Dante. E c’è sempre Moni Ovadia che legge i testi di Mussolini e delle vittime: le lettere della moglie di Matteotti al suo Giacomo o quelle della vedova di Gobetti al marito Piero. C’è anche Giovanna Famulari che canta canzoni del regime (“Pippo pippo non lo sa…”, “Amapola…”, “Parlami d’amore Mariù”), poi quando si parla dei lager canta in ebraico, quando si parla della guerra civile spagnola (in cui i fascisti commisero crimini gravissimi) canta in spagnolo e in greco a proposito dell’attacco alla Grecia. Uno spettacolo che emoziona, dove si ride e si piange. Spero che gli albesi rispondano, così come hanno sempre risposto ogni volta che sono tornato nella mia amata città, di cui parlo sempre quando mi trovo a Roma oppure nel mondo. Sono orgoglioso di essere albese e langarolo».