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«Ecco il mio impegno per l’università stimolo e orgoglio»

Abbiamo intervistato Andrea Silvestri, il manager cuneese che da un anno dirige l’Ateneo di Torino

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Da Cuneo a To­ri­no, coltivando orizzonti internazionali ma sem­pre mantenendo un legame ben saldo con le sue radici. Sono questi, in sintesi, i punti di riferimento dell’esperienza umana e professionale del manager cuneese Andrea Silvestri, da poco più di un anno direttore generale del­l’Università degli Studi di To­rino. Noi della Rivista IDEA lo abbiamo intervistato.

Direttore Silvestri, all’incirca tredici mesi fa assumeva il nuovo incarico in ambito accademico. Qual è il bilancio provvisorio della sua esperienza?
«Il bilancio è estremamente positivo, perché le università italiane si trovano in una situazione di risorse significative, grazie al Pnrr ma non solo. C’è il riconoscimento da parte del Governo uscente, e immagino continuerà con l’entrante, del fatto che per una decina di anni gli atenei abbiano subito una contrazione dei fondi e un rallentamento nell’iter delle assunzioni, cosa che, di fatto, ha impedito anche la mera sostituzione del personale. Adesso si è in­trapresa una strada diversa, di crescita di risorse trasferite. In più l’Università di Torino ha un piano strategico molto efficace da implementare».

Quali sono i punti principali di questo piano?
«Gli elementi in primo piano so­no tre: il trasferimento di in­novazione e cultura al territorio, lo sviluppo internazionale e il benessere della co­munità. Abbiamo una popolazione di quasi 100mila persone, se sommiamo gli 80mila studenti, i 4mila dipendenti e tutti gli altri collaboratori. Ci sono le condizioni ottimali per lavorare».
Umanamente e professionalmente, cosa significa dirigere un’università così storica e prestigiosa?
«A livello umano è un incarico che mi inorgoglisce, dal punto di vista professionale è stimolante, specie se si considera la complessità intrinseca delle università. Gli atenei sono tra gli enti pubblici più complessi e articolati, basti pensare alla presenza dei rappresentanti degli studenti in tutti gli organi, una peculiarità bella e unica. L’Università di Torino (UniTo) opera inoltre attraverso 120 edifici. Abbia­mo grandi programmi di sviluppo edilizio, inclusa la ri­qualificazione delle sedi storiche del centro. Questo per dare un esempio della complessità del nostro ateneo: sicuramente è una realtà su­per stimolante».
Da cuneese avverte un senso di responsabilità ulteriore?
«Ho radici molto forti a Cu­neo, ma tendo a pensare a me stesso come a un cittadino europeo. Vedo il futuro delle università dal punto di vista delle reti che potranno co­struire. Nel contempo, intanto, Cuneo ha uno dei poli più importanti dell’UniTo».
Qual è il rapporto del­l’Uni­ver­sità con Cuneo e la Granda? Ci sono progetti specifici?
«La provincia di Cuneo rappresenta il secondo maggior polo per l’UniTo, dopo quello metropolitano. Oggi ci piace definire il nostro ateneo “mul­­ticentrico”, organizzato cioè su poli territoriali con una connotazione tematica, capace di renderli peculiari e attrattivi. Per il polo cuneese la sfida è quella di rafforzare l’attività di ricerca locale e di trasferimento tecnologico, ol­tre alla didattica. Vanno proprio in questa direzione “Ci­ban”, un centro di ricerca interdipartimentale sul tema del cibo e antifrode, che abbiamo inaugurato di recente, e il Centro Sperimentale sulla Castani­coltu­ra di Chiusa di Pesio, da poco riconosciuto come centro nazionale. Mi piacerebbe, inoltre, che le nostre sedi rafforzassero la loro di­mensione di luoghi di cultura, ospitando conferenze, lezioni aperte o eventi, come nel caso della “Notte dei ricercatori”, che qualche settimana fa ha visto protagonista anche Cuneo, o del programma “UniVerso”, un pa­linsesto ricco di eventi e mostre che UniTo propone per riflettere sulla contemporaneità».
Prima di assumere la carica di direttore generale presso l’Università di Torino, per 14 anni ha lavorato alla Fon­da­zione Crc. Cosa ricorda di quella esperienza?
«L’esperienza è stata im­portan­tissima. Le dinamiche di rap­­­porto tra staff, governance, enti del territorio e cittadini sono analoghe in università, seppure su scala di­versa. La Fondazione Crc è stata quindi per me una grande scuola».
Quanto sono importanti realtà di questo tipo?
«Le fondazioni possono fungere da stimolo e agenti di innovazione per il territorio. Continuo a lavorare con loro, adesso dall’altra parte del tavolo. Abbiamo collaborazioni notevolissime con la Fondazione Crc, convenzioni con Compa­gnia di San Paolo e Fondazione Crt e abbiamo altre fondazioni che finanziano l’Università. La caratteristica di queste collaborazioni è la co-progettazione: non sono più semplice trasferimento di denaro, ma agiscono da “attivatore”».
Chiudiamo con una domanda ancor più territoriale. Qual è il suo legame con il Cuneese?
«Quando rientro a Cuneo, cosa che faccio quasi tutti i giorni, sono sempre colpito dalle caratteristiche di questa città, incoronata da catene montuose così peculiari. Cre­do che Cuneo abbia an­cora margini di crescita dal punto di vista dello sviluppo tra la città e la montagna, per ciò che concerne i cambiamenti climatici, gli sport o le attività turistiche. Una realtà come quella della nostra provincia si presta a una qualità della vita sana e ha già un’imprenditorialità particolarmente vi­vace. Fa­cen­do leva sui tratti distintivi, potranno es­ser­ci ul­te­riori chance di sviluppo».

Articolo a cura di Domenico Abbondandolo

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