«La nuova vita dell’alta Langa nella tradizione»

Matteo Cerrina ha studiato l’evoluzione del suo territorio: «Tra neoruralismo e turismo»

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Una laurea per il rilancio dell’Alta Langa. Anzi due: sono i lavori di Matteo Cerrina, 26 anni, di Feisoglio. Il giovane, neolaureato in Comunicazione In­ternazionale per il Turismo presso l’Università degli Studi di Torino con una tesi in antropologia dei beni culturali, ha fatto ricerca sui suoi territori, dove è nato e vissuto. Se n’è discusso anche in un incontro ospitato dal Club per l’Unesco di Torino dal titolo “Da area marginale a terra originale. L’alt(r)a Langa”.
Di che cosa si parla in questi lavori?
«Nella laurea per la triennale si tratta delle feste e delle tradizioni, nella seconda per la Magistrale mi sono concentrato sul paesaggio e sul fenomeno del neoruralismo, il ripopolamento dell’Alta Lan­ga. Entrambe sono tesi di antropologia».
Come ha analizzato il fenomeno delle tradizioni e delle sagre di paese?
«L’Alta Langa è un terreno fertile per lo studio della civiltà contadina e delle sue tradizioni popolari. Ho analizzato come si sono evolute. Un tempo erano legate al calendario agrario: si svolgevano nel periodo invernale o autunnale nelle aie o nelle stalle perché il lavoro dei contadini subiva una battuta d’arresto, rispetto all’estate in cui c’era il picco dell’impegno nei campi. Ora la situazione è capovolta: le feste tradizionali si svolgono in estate perché attirano turisti e quindi risorse».
Le tradizioni e le sagre hanno solo un valore turistico quindi?
«No, è molto importante anche la dimensione comunitaria che creano. Un aspetto molto apprezzato da chi arriva da fuori perché sono valori che in città sono andati quasi completamente perduti».
Nella seconda laurea si è concentrato sul paesaggio e sulle zone dell’Alta Langa che si stanno ripopolando grazie al fenomeno del neoruralismo, che cosa si intende?
«Dal secondo dopoguerra le terre di Alta Langa hanno assistito ad un progressivo spopolamento, soprattutto di giovani in cerca di studio o lavoro lontano da qui. Per un po’ è stato frenato dalla Ferrero che mandava i pullman fino in Alta Langa per prendere i lavoratori, consentendo loro di rimanere a casa propria. In alternativa ci si dedicava alla coltivazione della nocciola. Per il resto il lavoro andava cercato altrove. Oggi si assiste al fenomeno del neoruralismo. Fenomeno che sta in qualche modo contribuendo a ripopolare queste zone, anche se non bilancia ancora l’esodo. Si tratta di persone che hanno scelto di venire a vivere in Alta Langa per dedicarsi alla coltivazione della terra, alla pastorizia e al turismo».
Ci fa qualche esempio?
«Molti stranieri acquistano ruderi o case da ristrutturare e ne fanno B&B. Gli italiani invece si dedicano ad agricoltura o pastorizia. C’è chi ha avviato una piantagione di bambù e rifornisce i principali ristoranti giapponesi o una coppia di giovani che sono diventati pastori (entrambi erano impiegati) e stanno per aprire un caseificio».
Ci sono quindi segnali di ripresa sul territorio?
«Sì, nonostante lo spopolamento e la marginalità economica si sta cercando di riguadagnare terreno. A Paroldo è stato aperto un ecomuseo che tutela la pecora locale e racconta le tradizioni di questa terra. A Gorzegno da anni non c’era un locale, oggi ha aperto un bar pizzeria e c’è anche un negozio di alimentari. In alcuni paesi sono state rifondate le Pro Loco. Io credo che il prossimo passo, fondamentale, è che i vari comuni e associazioni comincino a lavorare insieme, per fare sistema. Solo così questi luoghi po­tranno tornare ad essere posti dove vivere e lavorare».
In Alta Langa le coltivazioni sono monopolizzate da quella del nocciolo, è un problema?
«Dal punto di vista economico no, perché la richiesta di questo prodotto è in costante crescita. Ma non c’è rotazione nelle colture e questo crea un grosso impatto su biodiversità ed ambiente. Negli anni, inoltre, si è fatto largo uso di pesticidi per contrastare le infestazioni della cimice asiatica che costringeva a buttare tutto il raccolto. Oggi per fortuna ci sono metodi meno tossici».
Un problema dell’Alta Langa è l’isolamento dovuto alla viabilità e ai trasporti. Quali potrebbero essere le soluzioni?
«Si è parlato per anni di una strada in galleria da Cor­temilia ad Alba, ma il progetto è sempre rimasto nel cassetto. L’alluvione aveva distrutto le linee ferroviarie tra Bra e Ceva e tra Alba ed Asti ma non sono state ripristinate».
Lei stesso è andato via per studiare, anche se ora è tornato a lavorare qui. Di che cosa si occupa?
«Sono guida turistica per un’azienda che produce nocciole, la Cascina Barroero. Abbiamo molti turisti stranieri, quasi la metà. In futuro mi piacerebbe tornare alla ricerca, voglio tentare un bando per un dottorato a Torino. Questa è la mia passione».