Il quotidiano L’Identità è in edicola da poco più di un mese con un riscontro di vendite incoraggiante, come afferma il suo direttore Tommaso Cerno: «Va bene ed è in crescita, del resto vogliamo diventare il primo giornale italiano. Non so quanto tempo ci vorrà, ma la strada deve essere quella».
Però, Direttore, dovete raccontare una realtà complicata come quella italiana.
«Basta dare ascolto al paese. Nelle fasi della narrazione giornalistica, c’è la tendenza a raccontare un paese che non cambia mai. Il motivo per cui stiamo cercando di fare un giornale adesso, è perché siamo di fronte a un profondo cambiamento del paese nei blocchi sociali, nelle aspettative dei singoli e nel rischio che si determini un cambio di rotta del futuro che porta milioni di persone da una prospettiva di benessere ad una di grave disagio».
Perché molta stampa non ha ancora saputo cogliere questo cambiamento?
«Per la prima volta in un secolo succede che un fatto accaduto nel mondo entri nelle nostre case. L’ultima volta era stato per la Rivoluzione d’ottobre del 1917 quando gruppi di persone in Europa volevano fare lo stesso e il senso del cambiamento entrò nella vita quotidiana. Ora assistiamo al fenomeno planetario di una guerra che cambia le abitudini di tutta la popolazione occidentale. Il pericolo nucleare è nell’immaginario di tutti. Io sono nato a pochi chilometri dall’ex Jugoslavia e ricordo quando mia mamma mi portava alla Fiera della casa, a Udine, e si vendevano rifugi antiatomici».
Tutto questo come si ripercuote sull’Italia?
«Si sta impoverendo, sta vivendo una crisi profonda delle forze socialiste e di sinistra che non dipende da Letta: dipende dal fatto che il capitalismo, come pezzo di quella visione del mondo che aveva prevalso e aveva l’obiettivo di un arricchimento complessivo di tutte classi sociali grazie al mercato, ha trasformato il suo benessere diffuso – pur se con diseguaglianze – in un benessere per pochissimi e che anzi distribuisce povertà in ampie fasce della popolazione che vivevano di riflesso in positivo questo sistema. La sinistra, nata come critica del capitalismo quando questo pure funzionava, oggi che non funziona proprio ha smesso di criticarlo. Ecco perché, che si chiami Letta o Renzi, la sinistra non ha ascolto: parla alla gente sbagliata».
Lei ha giudicato positivamente il discorso programmatico di Giorgia Meloni.
«Vengo da una cultura di sinistra anche radicale, però non è che la destra non esista. Esiste, io la ascolto e mi rendo conto che, pur con i suoi inciampi, con le paure che ancora agita, sta facendo un rinnovamento del suo bagaglio culturale enorme rispetto alla sinistra. Il discorso di Giorgia Meloni è stato tacciato come ideologico di destra. Certi modi lo sono, il bagaglio valoriale della destra reazionaria è stato mostrato nelle nomine dei presidenti delle camere. Però ha fatto proprio un linguaggio della sinistra che la stessa sinistra, ormai lontana dal comprendere da dove viene, lo ha ritenuto di destra».
Come il riferimento alla sovranità alimentare?
«Esattamente, è un concetto che viene dalla sinistra, è uno dei nuclei fondativi di Slow Food e delle Nazioni Unite. Quelle navi bloccate nei porti in Ucraina con il grano, che per mesi abbiamo cercato di far partire stante la minaccia di un rischio fame in Africa, rappresentano ciò che la sovranità alimentare vuole sconfiggere. Per dare la possibilità di sopravvivere senza dipendere da paesi dominanti o da multinazionali. Confondere a sinistra tutto questo solo per la parola “sovranità” -che è la decima della Costituzione italiana – spiega le ragioni del fallimento. Non sanno più chi sono».
Oggi chi porta avanti valori di sinistra, forse Conte?
«Lui porta avanti un’operazione che sicuramente va verso il vento di sinistra. Ha fatto questa scelta di fronte a un’immotivata e frettolosa rottura del Pd in aula dopo l’astensione sulla fiducia a Draghi, ha scelto chi essere dopo il “con noi o contro di noi”, ha avuto ragione passando da sondaggi che lo davano in spegnimento a un’evidente riaccensione del fuoco. Il reddito di cittadinanza è un Giano bifronte, un concetto che porta voti, ma anche l’unico tema che parla ai poveri. E di solito ai poveri parlava la sinistra. Quindi al di là dell’intuizione elettorale, c’è una scelta di campo che dal Pd non è arrivata così chiara. Se la sinistra ripartisse da qui, dovrebbe farlo da Conte, non da Bonaccini. Ma non ha capito ancora che sinistra vuol essere, non è quella riformista e anglosassone di Veltroni o Renzi, né quella più radicale verso altre direzioni per superare la crisi del sistema che non sia solo l’esigenza di tenere a posto il bilancio e la sudditanza verso i poteri economici dell’occidente, per quanto siano da tenere in considerazione».
Atlantismo e ruolo degli Usa quanto incidono sulla politica italiana?
«Da sempre gli Usa hanno esercitato sull’occidente una forza di convincimento, a volte più ideale e altre più materiale, ora siamo in una fase materiale. Ma gli Stati Uniti sono più intelligenti di chi li commenta e anche più democratici di come vengono raccontati in Italia. Approfitteranno di questa botta di fortuna con Meloni premier per gestire il loro grosso problema con l’Est, con quei paesi ultimi arrivati, meno europeisti e maggiormente finanziati dall’Unione, come Ungheria e Polonia, che l’Europa non ha fatto in tempo a conformare. Una destra più grande, guidata da un paese fondatore come l’Italia, se fa passare il pregiudizio di movimento che scardina il sistema, è un vantaggio per gli Usa: Orban non esiste più, in confronto. Poi la politica non è fatta di gente educata, tanto meno quella americana».
La guerra si risolve perseguendo la pace o con una prova di forza come pensano gli Usa?
«Qui dovremmo parlare non di “atlantismo”, ma di “pacifismo” nel senso però dei paesi dell’Oceano Pacifico… Gli americani non arretrano sulla posizione ucraina, perché sarebbe un segnale, per la Cina, anche su Taiwan: parlano a nuora, per far sapere a suocera. Devono abbassare la connotazione di uno scontro planetario per aprire una trattativa di pace senza dire ai cinesi che non andranno fino in fondo».
Per concludere: conosce la zona del Piemonte dove ha sede IDEA?
«Sì, ho avuto l’onore di lavorare nei giornali di Carlo De Benedetti e ho frequentato quelle zone. Una realtà unica direi, un’Italia tra le più compiute per consapevolezza di sé, dove intelligenza e senso dello stato vanno insieme».
CHI È
Ha ssunto la direzione del nuovo quotidiano d’informazione L’Identità da poco più di un mese, è nato a Udine il 28 gennaio 1975, vive a Roma. Giornalista ma anche politico: è stato infatti senatore della Repubblica dal 2018 al 2022 con il Partito Democratico
COSA HA FATTO
È stato dirigente nazionale dell’Arcigay promuovendo il Gay Pride a Venezia. Ha diretto il settimanale L’Espresso (gruppo De Benedetti) dal luglio 2016 al mese di ottobre 2017. Ha svolto diverse inchieste sul tema dei diritti civili e delle discriminazioni
COSA FA
Impegnato nel lancio del suo giornale, con redazione a Roma, lo vediamo spesso ospite dei maggiori salotti televisivi nei quali si distingue per la capacità di analisi politica. Ha commentato l’insediamento del governo Meloni sottolinenando criticamente gli errori della sinistra che, come spiega anche nell’intervista, attraversa una grave crisi di identità