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Il segreto delle Garessine

Castagne diverse da tutte le altre, risultato di una lavorazione speciale, legata alla storia di Garessio e non solo. Specialità da riscoprire: basta assaggiarle

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Facciamo chiarezza su un punto: la castagna garessina non è come tutte le altre. Non per partito preso o per campanilismo. È un dato di fatto.
Incominciamo dicendo che per Garessina non si intende una varietà botanica, bensì un modo di lavorare le castagne, ovvero la loro essicazione con il fumo diretto che deve avvenire appena raccolte. I risultati migliori si ottengono ancora oggi utilizzando gli antichi Scau, le costruzioni di pietra che una volta erano presenti in tutti i castagneti.
Le Gabbiane e le Frattone, queste le varietà preponderanti nelle Garessine. Si coltivano e raccolgono da secoli nelle valli Tanaro, Mongia, Pennavaire e Casotto e a confermare questa lunga tradizione, nella frazione di Mindino del comune di Garessio, esiste un albero di dimensioni gigantesche iscritto all’albo delle piante monumentali che vanta oltre sei secoli di storia.
Allora a cosa si deve il nome? Facilmente al luogo in cui si smerciavano. Era una pratica comune in passato battezzare un prodotto con il nome della città in cui ne avveniva il mercato più popolare: Gorgonzola, Bra e Melle sono alcuni esempi eccellenti.
La pratica dell’essicazione invece nasce da un passato in cui le castagne erano un bene essenziale. Soltanto in questo modo potevano essere conservate a lungo e nutrire famiglie intere durante l’anno. Erano considerate un bene di prima necessità tanto che tutto ciò che ruotava attorno a loro era regolamentato da leggi ferree. Se ne potrebbero citare decine, ma una su tutte è sufficiente per lasciar intendere l’importanza che vi si attribuiva. Durante il Medioevo a inizio autunno si interrompevano i combattimenti per una tregua che consentiva a tutti di raccogliere e mettere da parte una risorsa alimentare che veniva ritenuta fondamentale per la sopravvivenza di entrambe le parti avverse.
Le Garessine sono piccole, ma proprio per questo estremamente gustose e l’affumicatura che dura rigorosamente quaranta giorni le rende uniche dal punto di vista organolettico. Il prodotto finito è una castagna bianca, secca con un gradevole profumo di fumo che non si perde durante la cottura che deve avvenire in acqua. Anche se al momento non rappresenta più un bene essenziale per la sopravvivenza le sue qualità e gli impieghi in cucina sono tutti da riscoprire. Lo diceva già Plinio che «Le castagne sono più buone da mangiare se tostate. Macinate diventano una sorta di pane» e il concetto non è cambiato di molto.
Una tradizione lunga secoli ci insegna ricette a partire dalla colazione dove il latte appena munto si univa alle castagne secche rinvenute nell’acqua. Bisognerebbe ripartire da lì, da quelle castagne e latte che sono un marchio di fabbrica e a cui diventa difficile rinunciare appena si assaggiano.
A cura di Paola Gula