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«L’Europa può uscire dalla crisi economica se agisce compatta»

Alessandro Giuli: «L’Italia ora è più forte, le premesse ci sono»

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La riflessione sull’attualità, che questa settimana abbiamo chiesto ad Ales­sandro Giuli, parte dal territorio di IDEA ed è accorata: «Parliamo di un grande modello di imprese e al tempo stesso di un modello di sviluppo d’eccellenza, prima di tutto dal punto di vista dell’agro-alimentare. Le Langhe rappresentano da sempre una catena di valore economico e, aggiungo, anche morale perché quegli imprenditori hanno costantemente trasmesso, insieme con le classi dirigenti che vengono storicamente da lì, una forma di grande abnegazione per il lavoro e un assoluto esempio di intransigenza morale nei principi di onestà. Da sempre, insomma, incarnano un modello credibile di classe dirigente. E non a caso l’azionismo più fecondo, la tradizione di patriottismo e onestà delle operose classi dirigenti è radicata nelle Langhe».

Dal contesto locale a quello nazionale: come si sta muovendo, a suo giudizio, il nuovo governo?
«Si sta muovendo in modo ben profilato dal punto di vista identitario, facendo cioè vedere che è un governo di destra-centro e che agisce sulla base del principio di legalità e sulla sicurezza. Contestualmente però si preoccupa di dare risposte immediate alla crisi economica ed energetica, concertando il tutto con l’Europa, come recentemente ha fatto la Presidente del consiglio assieme al Ministro dell’Economia a Bruxelles, nel giro di incontri preliminari per intervenire il prima possibile sul caro bollette».

Si tratta di un governo meno tecnico e più politico: a prescindere da altre considerazioni, dobbiamo considerarla una buona notizia oppure no?

«Sì, è il segno di una politica che si riappropria del suo spazio naturale, a partire dalla Presidente del consiglio che tra l’altro nel ruolo è anche la prima donna della storia: ecco, ce lo diciamo sempre con piacere ma dovremmo anche smetterla di farlo a ogni pie’ sospinto, perché deve diventare una cosa naturale. Il punto è che abbiamo una posizionista della politica a Palazzo Chigi, una persona che ha seguito tutto il cursus honorum all’interno di un partito, partendo da una piccola sezione per arrivare alle più alte cariche dello Stato. Però non sottovalutiamo che il governo Meloni, attraverso figure tecniche come il prefetto Piantedosi al Viminale e altre figure come Schillaci alla Salute, ha voluto dare rappresentanza alla competenza oltre a cercare la stessa competenza anche nella rappresentanza politica, dove ha chiesto e selezionato figure di alto profilo».

La linea seguita, soprattutto sul piano economico e internazionale, ha rivelato una sostanziale continuità con il percorso tracciato da Draghi: è così?
«Sì ma è la realtà stessa che impone questa continuità, lo scenario è rimasto infatti identico, con tutti i vincoli esterni a cominciare dal pur benefico Pnrr che avrebbero obbligato qualsiasi governo ad agire in coerenza con le precedenti impostazioni. E non tanto con Mario Draghi, di cui pure Meloni è un’estimatrice nonostante l’opposizione svolta al Parlamento, quanto per le linee fondamentali di politica macroeconomica di carattere europeo. Poi, questo è sicuro, Meloni cercherà di portare a casa più soldi e più in fretta, proverà a modificare qualche elemento tecnico del Pnrr, ma il complesso delle linee programmatiche è già inserito in un alveo precostituito che vale per tutti gli stati europei».

Con Meloni presidente dobbiamo attenderci una più convinta condivisione del concetto di “atlantismo”: che cosa significa però sul piano pratico?

«Il legame era già molto forte con Draghi che ha avuto tra i suoi compiti – e anche meriti – quello di ricollocare con precisione l’Italia nel solco dell’atlantismo che sembrava invece avvolto dalla nebbia nelle precedenti legislazioni, ovvero Conte 1 e Conte 2. Meloni colloca saldamente l’Italia in un contesto distratto dalla guerra in Europa, con una maggior forza che viene da una sua cultura di destra propriamente atlantista, tra l’altro, e garantisce senza dubbio la posizione strategica dell’Italia dentro la Nato ma anche dentro all’Europa, come partner con una sua autonomia strategica, armonizzata con la funzione del Patto atlantico».

In tutto ciò, si è detto, la sinistra ha smarrito la sua identità. Chi può esprimere quei valori, forse l’ultimo Conte?

«Dipende da quale sinistra si ha in mente di costituire. Conte ha dimostrato di essere fungibile per un populismo sbilanciato a destra con Salvini, poi è stato presidente del consiglio di un governo schiacciato a sinistra e inoltre ha sostenuto suo malgrado un governo tecnico. Conte ha un’identità molto fluida dal punto di vista politico. Il punto è capire cosa voglia fare il Pd, se cioè vuole essere un partito socialdemocratico di massa oppure se intende trasformarsi in una costola di quel progressismo confuso, un po’ sudamericano e populista incarnato dallo stesso Conte. Se invece vuole essere un partito socialdemocratico avanzato, deve necessariamente ricostituire un fronte riformista con Calenda e Renzi».

Torniamo alla situazione dell’economia ma non locale, quella nazionale. Quali prospettive immagina con queste premesse?

«Registriamo intanto una buona notizia: nel terzo trimestre l’Italia è cresciuta oltre le aspettative e questo è un altro oggettivo merito del governo precedente ma anche della ricorrente e straordinaria capacità di resilienza delle piccole e medie imprese italiane, dei servizi ricettivi e turistici e della capacità attrattiva che mai l’Italia ha perso nella storia e che mai perderà in futuro. Siamo già entrati in un vortice di crisi economica, però stavolta abbiamo il vantaggio – si fa per dire – di viverla in un contesto in cui tutta l’Europa sconta i nostri stessi problemi. Non siamo noi la cenerentola, certo restiamo più esposti di altri stati ma siamo anche più forti di altri. E comunque stavolta l’Europa deve salvarsi come per la pandemia».

Ovvero?
«Deve farlo tutta insieme, perché nessuno può essere lasciato in un angolo. E tutto sommato, credo che ci siano i presupposti per uscirne bene».

CHI È
Giornalista di Libero che dalla carta stampata sale spesso sul palcoscenico televisivo, dove fa valere una comunicazione molto efficace, apprezzata dal pubblico in maniera trasversale. Fa parte anche della Fondazione Med-Or, diretta dall’ex ministro Minniti

COSA HA FATTO
Si è affermato al Foglio di Giuliano Ferrara dove ha assunto la carica di vicedirettore e, in un secondo momento, anche quella di con-direttore. Prima di approdare a Libero, ha collaborato con Il Tempo e Linkiesta. Ha anche scritto diversi saggi di analisi storica

COSA FA
Sposato con la collega di Sky Tg24, Valeria Falcioni, vive a Roma. Dopo aver anche condotto alcune trasmissioni sui principali canali televisivi, è diventato ospite fisso di diversi salotti e talk show. Recentemente anche sul canale Nove dove si è confrontato con Federico Rampini, mentre in precedenza ha avuto uno scontro verbale a “Otto e mezzo” con Michela Murgia