IL FATTO
È vero che le piante hanno un’abilità cognitiva che va oltre l’apprendimento di esperienze legate alla loro sopravvivenza? UNA ricercatrice lo ha dimostrato con metodo scientifico
«Le piante sono in grado di imparare e ricordare eventi passati, mostrano e condividono la propria intelligenza». Monica Gagliano, ricercatrice italiana in Australia, lo ha dimostrato sperimentalmente e ne ha parlato sul settimanale Sette, oltre ad aver scritto sull’argomento quello che è già diventato un bestseller internazionale (“Così parlò la pianta”). Se ne parla sempre più spesso, ma in questo caso c’è un passaggio importante. «Parliamo di scienza dell’intelligenza delle piante. Il mio lavoro è incentrato sulla comunicazione delle piante, in particolare il suono, ma anche sulle loro abilità cognitive, perché si dimostra sperimentalmente che le piante sono in grado di imparare e di ricordare eventi passati. Non mi riferisco al passaggio delle stagioni e neanche alla reazione ai ritmi circadiani (i girasole che seguono il movimento del sole e ricordano da che parte girarsi), ma dell’apprendimento di nuove esperienze che non sono necessariamente rilevanti per la vita, ma che la pianta può imparare se le percepisce in questo modo».
Monica Gagliano fa capire che forse si tratta di una questione fondamentale per lo sviluppo delle nostre conoscenze, in generale: «Voglio spingere i limiti verso un nuovissimo tipo di scienza che ancora non so nemmeno definire, ma che mette insieme la scienza sperimentale e la metafisica (potremmo dire “lo spirito”) e le fa dialogare. Forse è questa la nuova frontiera». Tutto nasce da una nuova consapevolezza. «Che cosa intendiamo con moralità? E che cosa intendiamo con limiti della moralità? Non esiste solo l’umano, il gruppo o la società che promulga determinati codici morali, ma anche altri agenti, altri partecipanti non umani. La ricerca scientifica non è fatta dagli umani sulla vita, ma è fatta dagli umani (a volte) con la vita. E se avviene in collaborazione – all’interno della natura relazionale – allora la vita dovrebbe avere diritto di parola. Dovrebbe poter dire la sua. Quando ho cominciato a lavorare con le piante, per esempio, al termine dell’esperimento le regalavo. La co-creazione è ciò che definiamo scienza. E credo che la scienza moderna, figlia dell’illuminismo, abbia ancora un’immagine molto coloniale di sé. Tutto riguarda la conquista. Parliamo di conquistare i limiti di ciò che è accettabile. Ma se non si tratta di conquistare limiti, ma di co-creare insieme alla vita usando il codice di condotta in modo relazionale, allora il codice è in costante evoluzione con la vita anziché sulla vita. È un’opportunità per la scienza e dovremmo valorizzare l’esplorazione all’interno del territorio relazionale. Il resto è cattiva scienza».
Con una riflessione finale: «La messa in discussione dell’antropocentrico è una differenza nella qualità: capire che abbiamo esperienze umane e che questo ci limita alla nostra prospettiva, ma anziché usarla come arma contro gli altri, dovremmo approcciarci con umiltà. Allora il resto del mondo si aprirà a noi e ci ridarà il benvenuto a casa. Perché, nella mia esperienza, non aspettava altro».