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Da bambino, pecco bagnaia guardava la moto dello zio Claudio e sognava di salirci su e sfidare il vento: da grande ne ha avuta una più potente e l’ha condotta, da Chivasso, nel torinese, in cima al mondo

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«Dudi, non ce la faccio più. Andiamo a dormire». Pecco Bagnaia chiude presto il suo giorno più bello, dilatato invece dal team tra bollicine e balli: è stanco di parole e telecamere, travolto da emozioni troppo forti, immerso in un sogno che invece è realtà, perfino un po’ stordito – raccontano sorridendo i testimoni – da un tappo di spumante che l’ha centrato in piena fronte.
Dudi è Domizia, fasciata da un abito rosso come la Ducati, sua fidanzata dal 2016: si conoscevano da prima, hanno capito frequentandosi di non essere solo amici, sono cresciuti insieme a Chivasso e vivono a Pesaro, lui arrivato in cima al mondo domando una moto e lei diventata fashion buyer di successo dopo gli studi a Torino e un periodo di lavoro a Milano. È cambiato il mondo attorno, non loro. Ed è cambiato lo stato d’animo. L’ultimo Gran Premio, a Valencia, ha sancito un trionfo storico e spazzato via insicurezze e momenti duri, anche quelli condivisi però in solitudine o con attorno pochi affetti. Non bisogna scavare dentro una corsa cominciata nel Natale 2004 quando sotto l’albero Pecco trovò una minimoto, basta tornare alle prime curve di questa stagione: le cadute, i dubbi, il timore d’uno svantaggio troppo grande, poi la rimonta senza precedenti, il distacco eroso, il sorpasso, la fiaba.
Un pilota italiano su una moto italiana: non succedeva dai tempi di Agostini. E Pecco come Valentino Rossi che è stato suo maestro nell’Academy. E idolo, da sempre, insieme al giapponese Noriyuki Haga. Del campione abbiamo letto tutto, restano da scoprire un ragazzo e le sue passioni.
Dietro l’amore per la cucina c’è l’attività di papà che gestiva dei ristoranti, la ricetta preferita è l’amatriciana ma ai fornelli ama sperimentare, ha confidato che se non fosse diventato pilota avrebbe voluto fare lo chef. La velocità è nell’anima, alle moto affianca i kart, però confessa che andare in moto per strada un poco lo spaventa, altri sport che adora sono il tennis e il golf, segue il calcio ed è tifoso della Juventus, si diverte con i videogiochi e alla movida preferisce le serate in famiglia, ha gusti musicali eterogenei e divora biografie di grandi sportivi. Il suo motto? Go Free, scritto unito sulla tuta. Lo coniò, ai tempi della Moto3, una ragazza che disse a Pecco «Enjoy the race and go free», «goditi la gara e vai libero», ed è diventata una filosofia di vita, un inno al disincanto, alla libertà e al divertimento, alla priorità per le cose più amate. La famiglia su tutto. Papà Pietro, che lo mandò in pista stanco dei danni fatti dalla minimoto in giardino, e che lo segue come un’ombra senza mai interferire, mamma Stefania, il fratello Filippo di nove anni più giovane e la sorella Carola, di venti mesi più grande, che è anche sua assistente. A lei si deve il soprannome che ha soppiantato il nome: «Da piccola non sapeva dire Francesco, mi chiamava Pecco e ormai lo fanno tutti: sono così abituato che a volte sento Francesco e nemmeno mi giro». Nessuno lo ha mai spinto, tutti lo hanno sostenuto. Ma forse zio Claudio ha acceso la scintilla: aveva una Ducati e Pecco bambino era incantato dal colore e dal rombo, dal suono della frizione a secco. «Zio – gli chiedeva -, questa la tieni per me per quando sarò grande?». Ne ha avuta un’altra, più potente, e l’ha guidata in cima al mondo.

BaNNER
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