CIA Cuneo: “L’agricoltura di montagna ha vissuto una stagione incerta e sul futuro pesano molte incognite”

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Daniele Carletto con le arnie delle api

Come è andata la stagione produttiva 2022 per le aziende agricole di montagna? Lo abbiamo chiesto a Daniele Carletto, 44 anni, agrotecnico, presidente Cia della zona di Cuneo, che conduce, dal 2016, i terreni dei nonni a Robilante. A Tetto Baricca: 950 metri di quota. In totale sono 14 ettari.

Nove li occupano i castagneti, con produzione di Garrone Rosso, Garrone Nero e Servai di Brignola, e i rimanenti vengono coltivati a fagioli rampicanti, patate, lamponi, mirtilli e una parte gestiti a boschi. Inoltre, Daniele si dedica all’apicoltura con una trentina di arnie. Un imprenditore che le Terre Alte le conosce e mantiene un rapporto costante con i colleghi della zona di cui è rappresentante. Afferma: “La stagione agricola in montagna è stata incerta, con alti e bassi a seconda del tipo di prodotto”.

Cosa è andato bene? “I piccoli frutti, specialmente per quanti fanno la vendita diretta ai consumatori, hanno dati buoni risultati. Anche dei fagioli coltivati in quota si può essere soddisfatti, con una buona produzione che, al contrario, non c’è stata in pianura. Le patate hanno avuto una minore resa, però la richiesta è alta: di conseguenza si vendono meglio”.

Cosa, invece, non ha dato i riscontri previsti? “Sicuramente le castagne, che per la montagna costituiscono una risorsa fondamentale. A causa della siccità abbiamo raccolto delle pezzature piccole e il prezzo di vendita è stato troppo basso: in alcuni casi siamo arrivati ad appena 60 centesimi al chilogrammo, mentre il consumatore le ha pagate ben più care. Altri problemi, sempre per la siccità, li hanno avuti gli allevamenti in quota che, in alcune zone, hanno dovuto recuperare l’acqua a valle per poter abbeverare gli animali. Con dei costi enormi. E negli alpeggi la mancanza di acqua ha ridotto al minimo la crescita dell’erba per alimentare i capi al pascolo”.

La produzione di miele? “E’ stata buona, però il problema si sta creando adesso. Infatti, con le temperature fredde di un autunno “normale” a ottobre le api non sono più attive e, fino alla primavera, consumano le poche scorte dell’alveare. Quest’anno, con i 25 gradi sopra lo zero delle scorse settimane le api continuano a mantenersi dinamiche. Ma non trovando più “cibo” all’esterno, soffrono per le condizioni climatiche e rischiano di morire. Per cui bisogna alimentarle con il miele prodotto, sciroppi zuccherini o canditi. Di conseguenza, buona parte dei ricavi ottenuti dalla vendita del miele li spendi per nutrirle”.

Le prospettive per il prossimo anno

Dice Carletto: “Anche in montagna, stiamo vivendo una situazione difficile. Per essere fiduciosi bisognerebbe tornare al periodo pre-Covid quando conoscevi i costi di produzione e vendevi senza le incertezze di oggi. Con le spese di acquisto delle materie prime e di quelle energetiche in continuo aumento. Affrontare la nuova stagione agricola è un’incognita sotto tutti i punti di vista, anche per quanto riguarda le  colture da mettere in campo. Cosa ci può salvare? Il ritorno a stagioni più “normali” a livello climatico, il calo dei costi dell’energia e dei materiali utilizzati nelle coltivazioni e un riequilibrio dei prezzi dei prodotti tra quanto viene riconosciuto all’agricoltore e quanto lo paga il consumatore. Basta speculazioni”.

Il futuro delle aziende di montagna

Spiega Carletto: “Le aziende di montagna per essere economicamente sostenibili devono diversificare l’attività. Vendere direttamente le loro produzioni ai consumatori rimane la strada maestra, ma, insieme a questo, bisogna offrire alle persone altre proposte. Come i laboratori didattici, lo sport legato al tempo libero, il trekking. Occorre diventare un punto di riferimento per quanti, oltre ai prodotti, hanno il desiderio di conoscere meglio la montagna e tutte le incantevoli bellezze del paesaggio in alta quota”.      

Però, non solo? “C’è un futuro se vengono appoggiate e sostenute dalle Istituzioni e dalla politica. A esempio si dovrebbero prevedere dei bandi del Programma di Sviluppo Rurale solo per le aziende agricole di montagna, perché la loro attività è molto diversa da quelle di pianura e richiede investimenti maggiori. Come i macchinari per lavorare su forti pendenze, che sono più complessi a livello costruttivo e, di conseguenza, anche più costosi. Inoltre, dovrebbe essere riconosciuto agli agricoltori delle Terre Alte il lavoro di manutenzione delle strade e dei sentieri che non dà ritorni economici alle aziende, però va a favore dell’intera comunità. I proprietari dei terreni se ne accollano le spese, ma nessuno li risarcisce”.