«La grande emozione per una vittoria? L’oro di Maurizio»

Allena gli atleti cinesi a Saluzzo: «Conosco un centinaio di parole, ma ci intendiamo a meraviglia. Almeno fino al Covid. Dopo Parigi 2024 mi dedicherò alle bocce»

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È il maestro della marcia. Nel corso della sua lunga carriera, iniziata nel 1972, ha conquistato 81 medaglie come allenatore personale. Di queste 11 sono medaglie olimpiche, 16 quelle vinte in coppa del mondo, 11 ai giochi continentali e, infine, 11 sono arrivate con la Coppa del Mondo a squadre. Eppure, racconta Sandro Damilano, alla marcia ci è arrivato quasi per caso, grazie ai fratelli Giorgio e Maurizio con i quali ha scritto pagine storiche dell’atletica italiana negli anni ’70 e ’80. Nel novero dei suoi campioni ci sono atleti italiani e cinesi del calibro di Elisa Rigaudo, Erica Afridi, Rossella Giordano, Giorgio Rubino, Alex Schwarzer, Wang Zhen, Wang Hao e Liu Hong. Due famiglie, altrettanto importanti, per il tecnico saluzzese che dal 2002 dirige la Scuola di marcia di Saluzzo, centro federale e di alto perfezionamento Iaaf che ha attirato nella città del Marchesato atleti di 11 nazionalità diverse e dove allena i “suoi” atleti cinesi. Terminata l’esperienza come direttore tecnico del settore marcia della Fidal (Federa­zione Italiana di atletica leggera), dal 2010 Damilano è divenuto infatti il tecnico dei marciatori della Nazionale cinese.

Cosa vuol dire essere un maestro dello sport e come si diventa un allenatore del suo calibro?

«Ho cominciato molto casualmente, con i miei fratelli. Io giocavo a calcio, loro facevano la marcia. Vennero selezionati per i campionati nazionali di Roma, unici due per la provincia di Cuneo, e da lì è partito tutto. Conoscevo nulla della marcia: ho studiato formandomi sui metodi degli atleti norvegesi e finlandesi, che erano quelli che andavano di più. All’epoca si facevano allenamenti con marce resistenti, tanti chilometri a ritmo lento. Io facevo correre i miei fratelli a ritmo medio. Ho stravolto la filosofia e la metodologia degli allenamenti. Ho avuto fortuna e intuizione, che è la mia qualità migliore perché permette di “vedere” l’atleta e adattare l’allenamento a seconda delle sue esigenze. Lo confermano le Olimpiadi di Tokyo (2021) quando, a causa del Covid, sono riuscito ad andare in Cina solo 20 giorni prima delle gare: ho capito subito che qualcosa non andava e abbiamo dovuto lavorare molto per recuperare le condizioni. Mi rimproverano di non aver lasciato discepoli, ma il mio è un metodo di allenamento da trasmettere. Qualcosa però c’è: il libro “I fratelli Damilano. Nati per vincere” e i due libri che ho scritto sulle statistiche di marcia in Italia e nel mondo».

I prossimi obiettivi?

«I Mondiali del prossimo anno a Budapest e per i Giochi asiatici a settembre. Poi ci prepareremo per le Olimpiadi di Parigi (2024) che per me potrebbero essere le ultime. Dopo, mi dedicherò alle bocce».

Cosa si prova quando un atleta vince medaglie importanti?
«La soddisfazione più grande è la consapevolezza del lavoro svolto bene. I miei atleti italiani hanno indossato per 228 volte la maglia azzurra e vinto 56 campionati nazionali. Con i cinesi, ancor più che con gli atleti italiani, se qualcosa non funziona chiedo scusa perché vuol dire che ho sbagliato io».

Come accennato poc’anzi, il Centro federale di Saluzzo ospita una delegazione della nazionale di marcia cinese, che lei allena. Ha imparato la lingua?
«Un centinaio di parole che servono per allenare e, con chi lo conosce, si parla inglese. Per il resto comunichiamo attraverso la gestualità e in allenamento non ci sono difficoltà. Certo con il Covid e le problematiche legate alla distanza (allo scoppio della pandemia gli atleti sono rientrati precipitosamente in Cina, tornando solo recentemente) le difficoltà sono state maggiori».

Come si scopre e si coltiva un atleta di talento?

«Un campione si costruisce, specie se si parte da giovani: la tecnica è fondamentale. Uno dei colpi più grossi mi è capitato una delle prime volte in Cina. Durante una gara ho scelto un ragazzo scontroso, che stava sempre in ultima fila. Ha vinto 2 volte la Coppa del Mondo e una volta l’oro olimpico. E poi una ragazza, che aveva 19 anni (Liu Hong, ndr) e ora ne ha 32: ha vinto tutto e mi chiama yeye, in cinese nonno. Mi ha invitato al suo matrimonio».

Lei è stato anche allenatore di calcio in serie D…

«Giocavo a calcio, ma a 26 anni mi sono fermato per la rottura del crociato e ho cominciato ad allenare. Dal 1982 al 2002 ho fatto ininterrottamente l’allenatore del Saluzzo portandolo in serie D. Ho smesso quando ho firmato il contratto con la nazionale cinese. Al mattino e al pomeriggio c’era la marcia e di sera il calcio. Ritmi difficili da sostenere».

Qual è stato il momento più emozionante della sua carriera?
«L’oro mondiale di mio fratello Maurizio a Roma, nel 1987. Indimenticabile il tifo delle persone per strada, la gioia e il clamore dei cori intonati quando è entrato nello stadio. Ancora oggi è l’emozione più grande, quella a cui sono più legato. E Rio de Janeiro con gli ori vinti nella 20 km di marcia femminile e poi maschile».