Un caso che fa eccezione sul territorio? Forse, ma più in generale, un ulteriore campanello d’allarme. Una decina di giorni fa Valerio Pesce, 28enne tabaccaio di Alba, è stato ucciso al culmine di una discussione con il padre Piero, 61 anni, nella casa di Canelli dove il giovane era tornato a vivere. Storie di debiti, a quanto pare, all’origine della tragedia. Si tratta purtroppo di questioni ricorrenti nelle cronache nazionali, drammi famigliari che si risolvono con la violenza più cieca. È giusto, ogni volta che accade qualcosa di simile, interrogarsi sulle cause che scatenano le pulsioni peggiori. Il filo conduttore è quasi sempre quello dei contrasti dovuti a problemi di natura economica, accentuati nell’ultimo periodo dalla crisi che stiamo attraversando. Abbiamo chiesto un parere su queste tematiche al nostro esperto Biagio Fabrizio Carillo, criminologo che per IDEA cura una rubrica settimanale dedicata alla letteratura noir e mensilmente un approfondimento sui delitti del passato rimasti senza soluzione. «Difficile dare una valutazione plausibile per un tema così complesso – ci ha detto Carillo -, vanno tenute in considerazione tutta una serie di questioni che variano da situazione a situazione. Ma certamente il disagio esiste e i fatti lo dimostrano».
Ultimamente, in particolare, la cronaca nera ci ha raccontato di padri che uccidono figli e figli che uccidono madri. Che cosa sta succedendo?
«L’attuale società è in continua evoluzione. Sono aumentati, con lo sviluppo dei social media, i rapporti fra le persone, ma si tratta di una finta relazione priva di contenuti. I giovani, e non solo, tentano di esorcizzare il senso di solitudine ma in realtà accrescono solo negativamente tutto questo ripiombando in una situazione ancora più problematica con il loro disagio emotivo».
Ci sono fattori che, in questa società, stanno accentuando questo disagio che colpisce i più giovani?
«Il disagio dei giovani ha radici che iniziano nel progetto educativo delle loro famiglie. Non si abituano abbastanza i giovani alle inevitabili sconfitte e agli insuccessi che fanno parte di un percorso di crescita personale. Ma si apprende molto di più dalle difficoltà che dai successi. Importante è sapersi rialzare e impegnarsi a fondo, perché senza sacrifici non si ottiene nulla».
Quanto conta la crisi economica in certe situazioni di contrasto?
«La crisi economica ha evidenziato ancora di più le differenze sociali. Oggi la possibilità di un giovane di realizzare percorsi formativi adeguati dipende purtroppo dalle possibilità economiche della famiglia. Non è giusto. Bisogna premiare i meritevoli anche se provengono da famiglie in difficoltà. Il discorso qui però sarebbe molto lungo. Aggiungo che il famoso ascensore sociale di quarant’anni fa oggi si ferma al piano terra».
Le periferie sono quindi il luogo più a rischio?
«Le periferie sono certamente a rischio ma abbiamo visto che certi reati avvengono anche nelle città. Molte baby gang agiscono infatti nei centri urbani. Non è più così marcata, oggi, la differenza».
Che cosa si poteva e doveva fare durante il lockdown e non è stato fatto?
«Il lockdown è stato un provvedimento inevitabile. Soprattutto all’inizio della pandemia. Ci si è trovati di fronte ad un evento imprevisto. È sempre difficile dire dopo cosa si poteva fare. Dal punto di vista sociale questa situazione ha emotivamente indebolito le fasce fragili, penso soprattutto agli anziani. Ma anche i giovani ne hanno risentito avendo dovuto limitare la loro vita di relazione».
Crede che le scuole oggi riescano a dare il giusto sostegno ai ragazzi?
«La scuola deve fornire gli strumenti anche culturali per favorire la crescita di chi la frequenta. Ma certamente non è un’istituzione che possa sostituirsi alla famiglia, luogo dal quale si apprendono i fondamenti dell’educazione. Conosco personalmente insegnanti che svolgono con passione il loro lavoro. Ecco, la passione in chi insegna è un ingrediente risolutivo per il futuro di chi oggi è uno studente. Poi è sbagliato generalizzare. Ogni realtà scolastica è diversa. In ogni caso la scuola in generale è fondamentale per avere, un domani, dei cittadini consapevoli».
È più giusta la scuola del merito oppure quella che accoglie?
«Ritengo il merito fondamentale a patto che non si lasci indietro nessuno. Ma è fondamentale anche che ci siano impegno e volontà. Ogni persona ha capacità diverse, come anche una provenienza familiare in termini economici e culturali. Quelli bravi certamente devono essere premiati. Ma anche migliorare quelli meno dotati e farli crescere è un compito della scuola».
Che cosa dovrebbe fare il nuovo governo per ridare prospettive alle nuove generazioni?
«Il governo mi pare stia facendo bene. Bisogna dare il tempo di fare le cose. Personalmente sono ottimista. Bisogna creare un’identità nazionale più marcata e valorizzare ancora di più le grandi capacità imprenditoriali che gli italiani possiedono per sostenere l’economia, anche quella dei territori. Tutelare poi il made in Italy: penso ad esempio al comparto agroalimentare e non solo».