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«Cerchiamo la bellezza Così saremo felici»

Il maestro Roberto Vecchioni ospite a Roddi e ad Alba: noi di IDEA lo abbiamo intervistato

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Gli aspetti che colpiscono di Roberto Vec­chio­ni sono anzitutto la raffinata sensibilità e il trasporto emotivo con cui riesce a comunicare idee e sentimenti. Qualità che lo hanno reso leggenda nella sua attività di cantautore e scrittore e che emergono in ogni singolo contesto, nutrendo l’anima di chi lo ascolta e trasmettendo un’energia positiva a tutto il contesto circostante. In occasione del conferimento del Premio Roddi “Testimone di bellezza”, consegnatogli nel corso dell’incontro organizzato dal Comune di Alba e dal Centro Studi Beppe Fenoglio nell’ambito del ciclo di lezioni “Resistenza nella memoria 2022”, noi della Rivista IDEA lo abbiamo intervistato.

Professor Vecchioni, quanto le fa piacere aver ricevuto il premio “Te­stimone di bellezza 2022”?

«Il piacere è immenso. La motivazione è una delle più belle: non per l’importanza del lavoro o delle canzoni, ma per la bellezza. La bellezza è sinonimo di felicità perché rappresenta l’armonia delle cose, lo stare in armonia con le cose e con le persone. E quando si è in armonia si è felici. Direi, quindi, che il titolo di questo premio è il più gradito che potessi avere, forse potrebbe batterlo solo il premio all’amore».

Quanto bisogno abbiamo di bellezza oggigiorno?
«Oggi come oggi c’è una pessima cognizione della bellezza. Si ritengono belle le cose appariscenti, che fanno rumore e sono anche superflue, piene di paillettes, brillanti ed esteriormente interessanti. La vera bellezza non è quella, ma la semplicità. C’è bellezza nella comunicazione dei propri sentimenti, nella coerenza nella vita, nell’amore per le cose che ci circondano e anche per le persone che non conosciamo. Non possiamo vivere senza bellezza. E parlo anche di quella estetica, dell’arte, che riempie l’anima in un mondo di cose brutte e orribili. Con­ciliarsi con la bellezza naturale di un tramonto o un campo di fiori, ma anche con quella fatta dall’uomo ad arte, significa salvarsi l’anima, ritornare alle origini e riscoprire la propria umanità».

La bellezza è anche nelle opere di Beppe Fenoglio: qual è a suo giudizio l’aspetto più interessante della sua prosa?

«Ce ne sono tanti. Il primo è la coerenza assoluta come scrittore: lui è un resistente, lo ha sempre detto e lo ha sempre fatto. A me piace molto il concetto di resistenza, significa opporsi alle ingiustizie in tutti i modi. Il secondo aspetto è formale: ha riscritto il modo di fare narrativa e di interpretare i sentimenti. Direi che è stato preso ad esempio da tantissimi scrittori e maldestramente la critica lo ha sempre classificato un po’ più in basso di altri che non valgono lui».

Nella sua musica e nei suoi racconti c’è mai stata un’ispirazione legata al mondo fenogliano?
«No, direi di no. Fenoglio è una mia passione per il suo realismo, che non è solo neorealismo ma anche idealismo, ma è estraneo completamente alla mia forma e al mio modo di esprimermi. Io sono un po’ più decadente, se vogliamo anche un po’ più romantico. Però, come lui, mi piace moltissimo inventare parole, neologismi, forme sintetiche di espressione, metafore. Quello sì, è un aspetto in comune».

La consegna del premio è stata occasione per visitare nuovamente la città di Alba e le Langhe. Come definirebbe questi territori?

«Unici. Le Langhe sono un posto unico. L’Italia è tutta bellissima, ma di posti unici ce ne sono cinque o sei: la Costiera Amalfitana, Venezia, le Langhe e pochissimi altri. Non si trova nulla di simile da nessuna altra parte. Sono malinconia e tenerezza insieme, nebbia e sole tra le nuvole, l’infinito che non vedi per la presenza delle colline ma che puoi sognare. Poi sono il posto di scrittori e cantautori straordinari, che hanno avuto sempre una grande capacità di emozionarsi: penso a Tenco, a Pavese, a Fenoglio appunto».

Cos’altro apprezza particolarmente?
«La cucina delle Langhe è tra le migliori d’Italia e del mondo per come tratta la pasta e la carne. I vini sono poi incredibili, per non dire dei dolci e del cioccolato».

Chiudiamo con una riflessione sui giovani di oggi. In cosa sono diversi da un tempo?
«Sono meno curati e capiti. I genitori conversano poco con loro ed entrano poco nel loro mondo, non riescono a capire la loro musica, le loro menti e la loro comunicazione. I diciottenni hanno sempre avuto problemi con le generazioni precedenti, adesso ne hanno di più perché il mondo si è complicato: non ci sono sbocchi, la speranza è un lumicino».

Esiste un modo per alimentarla?
«Dobbiamo aiutarli tantissimo ad avere prima di tutto una cultura del mondo, delle situazioni e degli altri. E poi dobbiamo aiutarli a non arrendersi. L’ultima cosa che si chiede a un ragazzo è quella di arrendersi e buttar via tutto perché non va bene niente. Qualcosa andrà bene: la speranza va sempre alimentata».

Articolo a cura di Domenico Abbondandolo