«Famiglie e imprese devono essere la nostra priorità»

Parla il consigliere regionale del Pd Maurizio Marello: «Appartengo a questo partito e credo che possa essere ancora determinante per il Paese. Bisogna però rinnovarne la classe dirigente e ricucire il legame con il territorio»

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Il Partito Democratico non è un’esperienza con­­clusa, anzi. Puntan­do sui valori da cui ha tratto ispirazione può tornare a sviluppare politiche decisive per il Paese. Lo sostiene uno dei suoi principali esponenti a livello cuneese e piemontese, l’ex sindaco di Alba e oggi consigliere d’opposizione in Re­gio­ne, Maurizio Marello.

Consigliere Marello, ha fatto scalpore una sua lettera al Pd, nella quale ha minacciato di andarsene se non si fosse riformato il partito. La verità?
«La mia è stata una dichiarazione provocatoria. L’unico scopo era creare uno scossone».

Quindi crede ancora nel Pd?
«Sì, appartengo al Pd da quando è stato costituito e continuo a crederci».

Perché?
«Perché il Partito Demo­cra­tico, figlio della tradizione del cattolicesimo sociale e dell’esperienza socialista, può continuare a essere il punto di riferimento per tutto il centrosinistra».

Cosa manca?
«Deve recuperare la propria identità».

L’ha smarrita?
«Un po’ sì, anche a causa delle grandi responsabilità che si è assunto in questi ultimi dieci anni sostenendo governi tecnici molto diversi tra loro».

Da dove si parte?
«Serve una classe dirigente nuova e, in questo senso, la provincia di Cuneo può esprimere persone particolarmente valide. In parallelo, bisogna uscire dalle logiche personalistiche e avere come unico obiettivo quello di costruire un fronte democratico riformista e fortemente ambientalista, di centrosinistra, vicino ai territori, al mondo del lavoro, alle famiglie, alle persone che fanno più fatica».

Come va in Granda?
«Nelle sette grandi città della provincia, il Pd ha fatto comunque dei buoni risultati. Bisogna però recuperare il legame con il resto del territorio, rinnovando la classe dirigente ed essendo credibili. In vista del Con­gresso, mi impegnerò al massimo perché ciò avvenga».

Citava le persone in difficoltà. Quali provvedimenti auspica?
«Stiamo vivendo una situazione certamente inedita: era dall’entrata in vigore dell’Euro che l’inflazione non cresceva così. Colpa dei rincari energetici causati non solo dalle conseguenze del conflitto ma anche dalle speculazioni. E poi ci sono pensioni e salari fermi da troppo tempo, oltre agli strascichi della pandemia. Che fare? Servono politiche forti di sostegno alle famiglie e alle imprese, ma anche politiche di tassazione più eque».

A proposito della guerra, che idea si è fatto?
«È una guerra terribile, che ci riporta agli anni tremendi del conflitto nei Balcani, basato su ragioni etniche. Anche qui si stanno fronteggiando e uccidendo quelli che praticamente sono dei fratelli. La responsabilità è di Putin e della Russia, che peraltro oggi colpiscono infrastrutture nevralgiche per la popolazione ucraina. È un quadro drammatico: serve che tutta la comunità internazionale recuperi saggezza ed equilibrio e lavori realmente per trovare la pace. Non sarà facile, anche perché gli organismi internazionali, come l’Onu e pure l’Ue, si sono rivelati deboli. Mi auguro che i tanti appelli di Papa Francesco vengano raccolti nel più breve tempo possibile».

Che ruolo possono avere educazione e formazione?
«Importantissimo. Sono settori chiave attorno ai quali costruire la società del domani. Ma non si fa abbastanza. Negli ultimi anni hanno prevalso le logiche delle politiche assistenzialiste: in determinati momenti, come durante un lockdown, possono essere utili ma in situazioni ordinarie assolutamente no. Occorre puntare su formazione, educazione e scuole professionalizzanti, pensando in particolare alle giovani generazioni. La più grande emergenza non è quella dell’immigrazione straniera bensì quella dell’emigrazione all’estero dei nostri brillanti ragazzi. Dobbiamo riuscire a valorizzare le loro competenze e dare loro l’opportunità di non andarsene: solo così sapremo rispondere con efficacia alle questioni occupazionali e alle altre sfide più urgenti che riguardano ricerca, innovazione e digitalizzazione».

Guardando alla provincia di Cuneo, che territorio vede?
«Vedo un territorio con parecchi punti di forza: la capacità di fare impresa e creare posti di lavoro, la produttività – che fa della Granda la prima provincia del Piemonte e una delle migliori in Italia -, l’eccellenza nell’industria manifatturiera e nell’agricoltura, un settore terziario particolarmente brillante. E poi l’offerta turistica di primissimo piano, cresciuta grazie a un lavoro incessante e a provvedimenti politici particolarmente efficaci, come la scelta, guardando a Langhe, Mon­ferrato e Roero, di aprire le por­te all’agenzia turistica di Asti. Un’esperienza da estendere all’intero territorio regionale. Tutto ciò senza dimenticare la preziosa rete del volontariato. E poi, in generale, noi cuneesi sia­mo bravi e tenaci».

Gli aspetti da migliorare?
«Le infrastrutture reali – strade, Autostrada Asti-Cuneo, circonvallazioni e ferrovie in primis – e digitali. L’altra sfida è quella che riguarda la Sanità: servono strategie capaci di ovviare alla carenza di personale e, in generale, di rendere la sanità pubblica regionale sempre più vicina alla gente ed efficiente».

Che futuro immagina per la provincia di Cuneo?
«Dobbiamo procedere tenendo i piedi ben saldi a terra, guardando al mondo, all’innovazione e al potenziamento delle infrastrutture ma preservando i valori fondanti. I miei consigli sono umiltà, pazienza e sobrietà, senza mai perdere di vista il senso di comunità e senza mai lasciare nessuno indietro».