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«Il premio roero apre lo sguardo verso oriente»

Gian Mario Ricciardi parla del riconoscimento giornalistico che da 35 anni dà lustro al territorio: «L’edizione 2022 vinta dalla coreana Nan Young Beak, una vera svolta dopo il Covid»

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Un premio giornalistico per valorizzare il Roero: è nato 35 anni fa e da allora è cresciuto portando questo territorio e i suoi tesori in tutto il mondo. Un progetto inventato da Giovanni Negro e che, negli anni, ha esteso sempre più i propri orizzonti: sono passati 35 anni da quando Negro, tuttora presidente dell’associazione che organizza l’iniziativa, decise di istituire questo speciale premio pensato per i giornalisti impegnati nella promozione del Roero e delle sue eccellenze. Un’idea nata in frazione Sant’Anna, a Monteu Roero, luogo di origine di Negro, e che man mano ha voluto abbracciare una platea sempre più ampia. Da allora, le premiazioni si sono tenute ogni anno in uno dei 24 Comuni che componevano gli antichi domini della famiglia Roero. La prossima cerimonia si terrà a fine luglio 2023 in luogo ancora top secret. Un’iniziativa, quella del premio e in cui ha creduto subito anche Gian Mario Ricciardi, responsabile Rai del Piemonte, ora in pensione, e presidente della giuria.

Un progetto ambizioso che è cresciuto sempre più negli anni?
«Basti pensare che il premio di luglio 2022 è andato ad una collega coreana: Nan Young Beak, giornalista di Wineok che ha tratteggiato un quadro completo delle ricchezze del Roero: vini, castelli, miele, frutta, natura. È un “segnale” importante: prova come dopo la pandemia l’Oriente stia tornando in Europa. È una tendenza già emersa in mercati tedeschi ed ora continua in Italia. Dopo gli articoli usciti su The Guardian e Forbes, i paesi d’Oriente sono affascinati dal Roero».

Non solo vino, ma anche natura, prodotti, fede e arte: così il premio assume una fisionomia sempre più completa, l’immagine di una terra. Quanti sono i giornalisti premiati finora?

«Siamo a quota 220 giornalisti premiati in tutto il mondo attualmente. E abbiamo tanti sponsor che credono in noi: il principale è il Consorzio di tutela del Roero presieduto da Francesco Monchiero, ma grandi amici sono anche le fondazioni Crt e Crc, Banca d’Alba, Cavalieri del Roero, Egea, Syngenta, Gai e Brezzo con Cascina Italia, Crudo di Cuneo, il Meg di Simona Rossotti».

Come mai lei è legato a questo premio?

«Sono molto legato a questo territorio nel quale ho vissuto per tantissimi anni, a partire dal 1976. E dove ora vive anche mia figlia. Io ci torno una volta la settimana per fare il nonno».

La sua carriera di giornalista si è svolta a Torino, può raccontarci le tappe principali?
«Ho cominciato all’Avvenire, nel 1977, poi la Gazzetta del Popolo nel ’78, Stampa Sera e ancora La Stampa. Per finire in Rai, come capocronista per vent’anni, gli ultimi tre sono stato nominato responsabile della sede di Torino. Abitavo a Sommariva Perno, ho bruciato 26 auto per andare a lavorare, avanti e indietro da Torino».

Una carriera nella cronaca, ho letto che ama definirsi cronista di strada, che cosa significa?
«Ho sempre cercato di non allargare le ferite delle persone. E ho evitato di speculare sul dolore altrui per fare audience, un vizio, purtroppo, di tanti miei colleghi. Non mi è mai interessata l’informazione del dolore e ho sempre avuto rispetto per le vittime».

Nel corso della sua carriera ha seguito moltissimi casi di cronaca saliti, tristemente, alla ribalta nazionale, ce n’è qualcuno che l’ha colpita in modo particolare?

«Tutti i casi che ho seguito mi hanno lasciato qualcosa. Penso al suicidio di Edoardo Agnelli con cui aprii il Tg1 delle 13,30, ai sassi dal cavalcavia della Cavallosa, a Erika e Omar, al delitto di Cogne. Tutti per un motivo o per l’altro mi hanno scosso profondamente. Gli eventi più difficili da raccontare sono tutti quelli che riguardano le persone. Ho cercato di farlo con umanità rafforzando la sensibilità sociale, trattando la politica con rispetto ma distacco, sentendo la base, la gente, i senza voce, cercando di diffondere il rispetto per la legalità e l’obiettività».

Ora che è in pensione, non ha smesso di occuparsi di giornali e notizie. Qual è la sua ultima avventura?
«Quattro anni fa l’arcivescovo mi chiese di unire in un’unica nuova rivista La Voce del Popolo e Il Nostro Tempo. Una bella avventura e un ritorno alle origini per me».

In che senso?
«Io ho cominciato nell’ambito cattolico con l’Avvenire e comunque negli anni mi sono sempre occupato di Chiesa e di sociale».

Qual è il futuro dei giornali?

«È online, bisogna prenderne atto e spostare con decisione su web tutto il focus della pubblicità».