Un nuovo libro per Nicola Porro: l’occasione per esaltare la figura di un politico (Antonio Martino) ideologicamente vicino e per sposare una filosofia, il liberismo, che pare rilanciata dall’attualità.
“Il Padreterno è liberale”: ci spiega il titolo?
«Nasce da una battuta di Antonio Martino, uno dei più grandi liberali che io abbia mai conosciuto. Me la fece per sottolineare come, secondo quello che dice la nostra fede, la nostra cultura occidentale, Dio avrebbe creato il mondo con la natura e l’uomo che, alla fine, può tutto. Dio ci ha permesso di essere addirittura suoi critici, ci ha dato la libertà di peccare, di bestemmiare o di non credere in lui. Quindi il tema del libero arbitrio di cui gli uomini sono dotati è il senso di questo paradosso: il Padreterno non può che essere liberale, visto che ci ha lasciato un pezzo di libertà fondamentale: quella di negare l’esistenza stessa del Creatore».
E perché “le idee che non muoiono mai”?
«Nel senso che il liberalismo è indipendente dal periodo storico, ma nei diversi momenti storici c’è questa faglia tra difesa e limitazione delle libertà che è tipica della storia dell’uomo. Quindi sono idee che non muoiono mai, perché l’idea di libertà è sempre esistita».
Liberismo da non confondere con il neoliberismo?
«Il neoliberismo non esiste, questa è l’obiezione che le faccio, è il modo con cui la sinistra vuole contrastare le idee del liberismo stesso. Il neoliberismo è in definitiva un socialismo mascherato da liberismo ed è l’etichetta con cui la sinistra può camuffare le proprie impotenze. Ha mai sentito parlare di neosocialismo o neocomunismo? No, perché sono orgogliosi delle proprie radici, Non capisco allora per quale motivo si debba essere liberali assecondando l’idea che esista un neoliberismo cattivo rispetto al liberismo. Questa è la parodia del liberismo raccontata dalla sinistra oppure sono idee di sinistra propagandate come liberali».
Tra i politici oggi chi potrebbe rappresentare al meglio questa ideologia?
«Non è un’ideologia, è un metodo di approcciare i problemi e quindi non saprei chi possa oggi, nella politica, interpretarlo. Martino è sicuramente un rappresentante a tutto tondo del liberalismo pragmatico però di martiniani non ne vedo in giro nella politica attuale».
Nel libro racconta di una telefonata fatta a Margaret Thatcher da Antonio Martino per ringraziarla d’essere stata d’esempio per tutti i liberisti successivi.
«Per lui era certamente un punto di riferimento, ha rappresentato al meglio il liberalismo pragmatico, d’esempio anche per gli americani che pure ebbero Reagan. Quell’idea un po’ rivoluzionaria di difendere proprietà privata e libertà individuali è nata dalla Thatcher come gran parte del liberalismo moderno. Ed è nata dai filosofi inglesi che, a differenza di quelli francesi, hanno un atteggiamento pragmatico verso la libertà, non ideologico».
C’è poi la questione dello statalismo e degli stipendi erosi dal peso della tassazione.
«È una di quelle cose che Martino ci ha spiegato. Quando si chiede un progetto di spesa, quando si pretende un sussidio o una protezione fiscale, ci si immagina sempre che i soldi nascano dal nulla. E invece bisogna ragionare sul fatto che i progetti di spesa hanno un prezzo che viene pagato dalla collettività attraverso una maggiore tassazione. Il cuneo fiscale, cioè la differenza tra quanto uno incassa e quanto poi l’impresa paga, non è altro che la plastica evidenza di ciò che noi abbiamo tassato per poter poi spendere. Nel 2023 la spesa pubblica salirà a quota 1097 miliardi di euro! Sono soldi prelevati ai cittadini. E bisognerebbe sempre pensare, quando si chiede un aiuto di stato, che alla fine quel conto qualcuno lo dovrà pur pagare».
Ma ammesso che le risposte alla crisi come il reddito di cittadinanza non siano adeguate, quali sarebbero le soluzioni?
«Io ribalto il ragionamento e chiedo – come si chiedeva Martino -, ma i 1097 miliardi di euro di spesa pubblica, il 55% del Pil intermediato dai burocrati, la presenza dello stato in ogni settore, hanno forse alleviato la povertà? Per ogni 100 euro che guadagniamo, 55 li cediamo allo stato. E abbiamo forse ridotto la povertà? No, è aumentata. Non c’è nessun merito a diventare poveri – diceva Martino – ce n’è molto a diventare ricchi. Cioè, se pensiamo che soluzione sia lo stato ci sbagliamo, la soluzione è che l’impresa possa lavorare e assumere, produrre liberamente ricchezza. Invece uno stato come il nostro, pensa a redistribuire quello che purtroppo si produce sempre di meno».
In questo senso che cosa potrà fare il governo attuale?
«Certamente può fare di più di quelli precedenti, perché i presupposti sono giusti e se questo governo non è liberale, certamente non è socialista. Ma il problema non è tanto, purtroppo, la divisione tra i socialisti e i liberali, quanto la situazione drammatica dello statalismo. Tutti sono convinti che lo stato sia la soluzione, pochi quelli che pensano che sia il problema».
Conosce il modello Langhe?
«È straordinario. Siete in una zona in cui lo stato, che – sia chiaro – è fondamentale, si limita a svolgere ruoli istituzionali che sono di base. Il ruolo dello stato sarebbe quello di fare ciò che il privato non ha alcun interesse e nessuna convenienza a fare, tipo l’amministrazione della giustizia e della sicurezza, le opere pubbliche e ovviamente, nel nuovo mondo, la tutela dei più deboli. Però lo stato è diventato un tale moloch che oggi si sta occupando di talmente tante cose, che alla fine fa male ciò di cui dovrebbe occuparsi».
Lei ha anche in programma appuntamenti in teatro.
«Il 19 gennaio faccio “Ripartenza” a Milano, dedicata all’energia, mentre a luglio come di consueto farò la manifestazione di Bari, alla quarta edizione. Il mio sito, nicolaporro.it, è un giornale online con una grande community digitale che però non basta. Il digitale è una “proxy” della realtà, bisogna assolutamente vedersi di persona, credo molto alla fisicità nei rapporti delle comunità e per quello mi dedico a “Ripartenze”».
C’è spazio per l’ottimismo, quindi?
«Sempre e comunque. A dispetto dei catastrofisti, il mondo è sempre andato avanti tranne pochi periodi in cui si è fermato, più che andare indietro. Però per andare avanti bisogna credere nelle persone e nelle individualità, non nelle organizzazioni che si sclerotizzano come quelle attuali».
Quale contributo avrebbe potuto portare Antonio Martino in questa politica?
«Avrebbe potuto rappresentare, come ha fatto durante il Covid e durante i suoi anni di governo, un baluardo della libertà ricordando che le libertà sono fondamentali e sono tutte unite. Non esiste una libertà economica senza una libertà politica o viceversa. E poi, semplicemente, che bisogna sempre accarezzarla e trattarla bene».
CHI È
Nato il 27 settembre 1969 a Roma, è giornalista, blogger, autore e conduttore televisivo. È vice-direttore del quotidiano Il Giornale. Politicamente si definisce liberale e ne parla nel suo libro “Il Padreterno è liberale. Antonio Martino e le idee che non muoiono mai” (Piemme)
COSA HA FATTO
Già portavoce del ministro Martino, ha poi lavorato al quotidiano Il Foglio e in tv in Rai e Mediaset. Ha condotto “In Onda” su La7 assieme a Luca Telese per poi tornare in mediaset con “Matrix” prima di arrivare all’attuale conduzione di “Quarta Repubblica”
COSA FA
Oltre alla conduzione televisiva, organizza eventi su temi economici, in particolare con il format “La Ripartenza” che a gennaio sarà a Milano e sulla sua piattaforma nicolaporro.it, sito collegato a una community molto numerosa. Assieme al fratello Gian Michele gestisce un’azienda agricola in Puglia e produce anche un vino di buon successo