Tra le tante storie raccolte incontrando il pubblico della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba ce n’è una in particolare che ci ha colpito. È quella della stilista emergente Giorgia D’Urso. Lei, giovane battipagliese molto legata alle Langhe – dove risiede parte della sua famiglia -, dopo la laurea all’Accademia della Moda Iuad di Napoli, ha deciso, con coraggio, di entrare nel mondo del lavoro con un’attività tutta sua: così, nonostante le difficoltà del caso, ha creato un proprio brand di moda. Oggi, a un anno dalla partenza, le sue creazioni – che segue in prima persona in tutte le fasi – si sono ritagliate uno spazio importante sui social (su Instagram: @giorgia_durso_), raccogliendo l’attenzione degli addetti ai lavori, a partire da Cosmopolitan, che le ha dedicato un articolo. La abbiamo intervistata.
Giorgia D’Urso, partiamo dall’inizio. Cos’è per lei la moda?
«È prima di tutto una forma di espressione, attraverso la quale cerco di esprimere me stessa al cento per cento. In generale, considero la moda come un’arte che consente di comunicare un’emozione, una sensazione, uno stato d’animo, un sentimento. La moda, ancora, è qualcosa di concreto, qualcosa che puoi toccare e vedere, ma che allo stesso tempo suscita qualcosa di emozionale. Con la moda si riesce a far emergere ciò che si ha dentro e ciò che si prova. È anche per questo motivo che la moda rappresenta una delle forme di espressione più utilizzate. Tutti noi ci esprimiamo attraverso quello che indossiamo; con il nostro abbigliamento raccontiamo qualcosa di noi al mondo».
A cosa si ispira?
«Alla filosofia giapponese del “wabi-sabi”: l’ho scoperta per caso in un periodo un po’ particolare della mia vita e, andando sempre più a fondo, ho capito quanto potesse essere importante per me, anche nelle attività legate alla moda».
Di cosa si tratta?
«È uno stile di vita giapponese. Letteralmente, “wabi-sabi” significa la “bellezza dell’imperfezione” e spinge le persone ad accettare e apprezzare l’imperfetto perché ogni imperfezione ci rende unici e ci permette di essere noi stessi. Anche con le mie creazioni cerco di trasmettere questa mia visione agli altri perché penso che possa essere d’aiuto nella vita di tutti i giorni».
Come traduce questa filosofia nei suoi capi di moda?
«Trasformare questo concetto astratto in moda non è semplice ma il risultato finale mi colpisce sempre parecchio. Molto spesso l’ho fatto con il disegno, quindi con delle stampe significative che possano rappresentare una parte specifica di questa filosofia, o ancora con delle linee moda che rimandano a quello stile. Cerco di far entrare nel mio mondo più persone possibili: vorrei che chi si approccia a questo progetto fosse sereno e consapevole delle sue fragilità e imperfezioni per poterle poi mettere in risalto – e non nasconderle – attraverso la moda».
La moda, dunque, come strumento di inclusione.
«Assolutamente sì: i capi del mio brand possono essere indossati da chiunque, senza alcun tipo di distinzione».
Attorno alle sue creazioni si sta sviluppando una comunità social affezionata e vivace. Cosa prova vedendo che i suoi abiti diventano un tutt’uno con chi li indossa e con le loro personalità?
«Devo dire che è la cosa che preferisco in assoluto del mio lavoro. Mi piace condividere sui social le mie creazioni e la mia passione. Mi emoziona poi vedere i miei capi indossati. È come se entrassi nella vita delle persone, con i capi che così diventano “nostri”, e non solo miei: si crea un legame. È bello sapere pure che quel capo si fonde con la personalità di chi l’ha acquistato: diventa ancora più unico».
Lei ce la sta mettendo tutta per far crescere il brand. Quale consiglio si sente di dare ai giovani come lei che hanno la stessa passione?
«La paura c’è, non posso negarlo. C’è stata all’inizio e c’è tuttora, ma mettersi in gioco per il proprio sogno è stata la scelta migliore che potessi fare. Quindi, posso solo dire di provarci, di lanciarsi a capofitto nei propri sogni e progetti perché è da qui che noi possiamo costruire il nostro futuro. Soprattutto all’inizio è bene prestare particolare attenzione: bisogna avere un progetto ben strutturato e razionale, un punto saldo da cui partire. Le paure, le ansie e i “momenti no” ci saranno sempre, ma anche quelli ci aiuteranno a crescere e migliorare sempre di più».
Cosa sogna per il futuro?
«I sogni sono tanti. A volte immagino una crescita graduale del brand, senza troppe aspettative; altre volte, invece, guardo al futuro e spero che tutto questo si trasformi in una vera e propria azienda. Siamo noi a costruirci il nostro futuro; quindi, come dico sempre, ce la metterò tutta, restando sempre me stessa».