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Addio, cardinal Poletto «Grande predicatore»

Il ricordo di chi lo ha visto da vicino e le sue croci: la crisi Fiat, la morte di Agnelli, la tragedia Thyssen

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L’ho ancora sentito poche settimane fa: la voce flebile, il respiro lieve, lucidissimo. Come Balle­strero e Saldarini, il cardinal Severino Poletto ha vissuto “pericolosamente” al microfono tra radio, tv e giornali, sempre chiaro, anche troppo.
Lo ricordo il giorno dell’addio, davanti all’altare principale del­la Consolata. Era provato, come chiunque lascia, ma con due anni in più regalati dal Papa. Disse: «So contare, come si legge nel salmo, i giorni e i mesi…». Usciva così, con semplicità ed eleganza, dalle luci della ribalta della Chiesa di Torino che ha guidato con fermezza, rigore, errori forse, ma con una grande fede. Ecco la grande crisi della Fiat: «Penso sia finita, verrà spezzettata». Si sbagliava. Arrivò Sergio Marchionne. La mattina della morte dell’Avvo­cato Giovanni Agnelli, nella hall dell’Albergo Santo Stefano, vicino alle porte Palatine: «Sì, l’Avvocato ha chiesto di confessarsi e l’ha fatto». La famiglia non fu contenta della sua rivelazione.
L’arcivescovo Severino cardinal Poletto e la sua Torino. C’erano, soprattutto nelle strade della periferia, i primi cortei di protesta per gli immigrati. La mano della Chiesa, tesa ai poveri, è cominciata allora con don Sergio Baravalle, Pierluigi Dovis, don Fredo Olivero. La rete sociale ha mosso i primi passi. I grandi della politica li ha chiamati lui, per primo, in vescovado: industriali, banchieri, presidenti delle fondazioni Crt e della compagnia San Paolo per capire il futuro e convogliare le donazioni. Qualcuno, sbagliando, l’ha chiamato “principe”. Non era così. Era ieratico, fermo, a volte anche urticante, ma vero. I suoi sacerdoti non li ha mai lasciati soli. Alle accuse che venivano fatte loro di essere di destra o di sinistra mi rispose: “Facciano i preti”. Era molto legato a papa Francesco che, mi confidò, gli telefonava spesso.
Lo ricordo in centinaia di interviste: per le ostensioni della Sindone, che ha voluto con i Papi, in alcuni momenti tristi della vita della Chiesa (“Sono in Croce da settimane”, agosto 2007), per la difesa dei posti di lavoro. Nei giorni del calvario della Thyssen, è stato in tutti gli ospedali (“Sai, purtroppo moriranno tutti”) e si è commosso. Sì, lui, apparentemente così roccioso, piangeva: come ha fatto quando, improvvisamente, è morta una suora che lo ha sempre seguito, come un’altra volta a Cuneo ha salutato suor Rosa, missionaria, come quel giorno a Fossano con mia madre morente, come nei troppi funerali di Stato degli anni bui di piombo.
Non gradiva i giornalisti, ma li amava sempre di più del cardinal Ballestrero. Ha avuto su di sé la grande e provvidenziale eredità spirituale del cardinal Michele Pellegrino. Era un grande predicatore. Sì, sapeva ascoltare. Lo faceva al telefono con tanti: preti, sociologi, politici, giornalisti, ma poi decideva lui. Negli anni a Testona, nella casa della parrocchia, ha continuato ad accogliere tante persone, preti, laici, studiosi, affiancandosi, con discrezione e con lealtà, al suo successore, l’arcivescovo Cesare Nosiglia. Ricordo i colloqui, sempre accompagnati dalla preghiera, a Fossano e ad Asti. È stato un vescovo con tutte le nostre debolezze, ma con la missione nel cuore ed una grande fede. Buon viaggio, eminenza!