È un bel modo di reagire a un’attualità dominata dalle paure: parlare di un angolo di paradiso terrestre, identificarlo nello spazio botanico della casa di campagna, la casa della nonna. Serena Dandini lo ha fatto scrivendo “Cronache del Paradiso”, un romanzo che è attraversato proprio dalla ricerca di un luogo dove si è stati felici oppure di un approdo dove riteniamo di poterlo essere. Sempre di paradiso si tratta. Pur sapendo che ogni bellezza va colta sul momento. Quel giardino appartiene ai ricordi di Serena che, dopo un ultimo trasloco, ha portato le sue piante nella nuova casa in Salento.
Che sia stato assaporato oppure soltanto desiderato, inseguito o anche perduto, non fa differenza. «Anche perché – ha spiegato l’autrice nella presentazione torinese – nel mio caso il paradiso terrestre non c’è più ed è stata una fortuna, perché non avrei potuto essere la donna che sono diventata, se una serie di privilegi non si fossero infranti miseramente. Questo mi ha permesso di ricominciare da zero e cercare la mia strada». Il paradiso, in definitiva, può anche essere un’ispirazione che ci si porta dietro per tutta la vita.
L’idea di paradiso terrestre, anche se perduto, è quindi qualcosa che favorisce in sé un’idea di felicità? È questo il tema dei suoi racconti?
«Nel libro ho raccontato il mio paradiso in terra e mai come in un momento difficile – direi anche un po’ infernale – come questo, credo sia necessario recuperare quel sentimento positivo per inseguire ancora un sogno. Si tratta di una possibilità in più, magari attraverso un viaggio oppure un ricordo, anche un’ossessione, un’avventura. E quindi quelle che ho immaginato sono storie che ci ispirano per non demordere, in qualche modo».
Eppure, si dice spesso che la bellezza si trova già intorno a noi, basta saperla cogliere.
«In realtà il paradiso, come affermo nel libro, non è altro che la nostra Terra prima che la devastassimo. Però nonostante tutto, possiamo sempre avere il desiderio o la voglia di considerarlo ancora il nostro giardino. Anche perché a ben guardare, il giardino dell’Eden era proprio la Terra. E forse non è che siamo stati cacciati da quel paradiso, ma è Dio che se n’è andato dopo quello che ha visto. E allora, bisognerebbe cercare di recuperare quel sentimento di cura e di amore che dobbiamo avere per tutta la ricchezza che ci circonda. Prima di rovinarla completamente».
In tempi difficili saper usare l’ironia come strumento di ricerca per il paradiso è una dote importante. Lei, da sempre, ne fa uso.
«Non c’è dubbio. Anche in questo libro, come in tutti i miei precedenti, sviluppo un fil-rouge personale perché per me è una specie di forma di sopravvivenza. Ha detto molto bene, è un po’ il mio paradiso, è uno sguardo non serioso. Serio ma non serioso».
Perché questa predilezione particolare per le piante?
«Se chiediamo quale sia un’idea di paradiso, tutti noi, pensiamo a quello. E la parola stessa – paradiso – significa originariamente giardino. A chiunque lo si chieda, la parola paradiso è sempre abbinata a qualcosa che ha a che fare con il verde. È uno sprazzo di natura che ci consola».
La sua è un’idea laica di paradiso?
«Sì, sicuramente».
E se dovesse fare gli Auguri di Natale, partendo dal libro, quale sarebbe il tema?
«Secondo me, sarebbe recuperare quel senso della vita legato al desiderio di cambiare il futuro: cominciamo appunto dall’orticello attorno a noi e allarghiamo l’orizzonte il più possibile. Questo è il mio augurio per il Natale, perché poi in realtà non esiste quello che viene chiamato l’homo sapiens, lui è riuscito a distruggere l’ambiente da cui dipende la sua stessa sopravvivenza. Per cui diciamo: forse è meglio fare un passo indietro, o no?».
La tv, che lei conosce bene, ci consegna in questi tempi immagini pesanti, tutt’altro che paradisiache. Come se ne esce?
«In questo momento la scrittura è il mio paradiso, di tv ne ho già fatta tanta e vedo che continuano a mandare in onda pezzi di alcune mie trasmissioni che, ahimè, sono ancora molto attuali».
La scrittura rappresenta una dimensione speciale?
«Sì, lo è diventata per me. È molto bello il rapporto che si è creato con i lettori e le lettrici che, a quanto pare, stanno molto amando questo libro. Questo rapporto rappresenta sicuramente l’aspetto più interessante e gratificante. Un libro finisce veramente quando è in mano al lettore, quando tu che l’hai scritto ricevi finalmente un riscontro per il lavoro che hai fatto».
È stata a Torino, sede dell’editore Einaudi, per presentare il libro. Negli studi Rai della stessa città aveva debuttato nel 1988 con il suo primo programma di successo.
«Proprio così, “La tv delle ragazze” andava in onda da lì ed è stata un’esperienza straordinaria. Inoltre c’è una nonna, di cui parlo nel libro, che era originaria proprio di Torino. Quindi, gira e rigira, ci sono sempre legami sentimentali che ho con questa città. C’è poi un’altra questione: mio papà da piccola mi portava sempre ad Alba».
Era la domanda che stavo per farle.
«Lui era patito di Alba perché era attratto dai tartufi, ne era innamorato. Per cui io stessa conservo ricordi bellissimi di quelle zone. Anche legati al tartufo, certo. Alba era il paradiso di mio papà».
Tornerà in tv per tentare nuovamente di fare satira?
«Non ci penso per adesso, sto bene così. Dopodichè, mai dire mai nella vita».
Il contesto, rispetto a qualche anno fa, è cambiato: in meglio o in peggio?
«Quello che conta è che ci vuole sempre qualcuno che abbia un po’ di coraggio. I nostri programmi erano solitamente molto liberi e, come si dice, fuori dai format per cui ci voleva sempre qualche direttore, un capo, che fosse in grado di dare il via libera e che ci desse fiducia per le nostre trasmissioni. Ogni volta che ho fatto televisione, per fortuna c’era sempre qualcuno che sapeva lasciarci andare per la nostra strada».
E adesso mancano personaggi così?
«È un momento un po’ confuso in cui si stanno tutti riposizionando…».
CHI È
Conduttrice e autrice di programmi satirici che hanno fatto epoca (anche tra le polemiche), ha prodotto format di successo per tv, radio e teatro. È inoltre direttrice artistica del teatro Ambra Jovinelli di Roma e ispiratrice del festival “L’eredità delle donne”.
COSA HA FATTO
Ha debuttato sul piccolo schermo con “La tv delle ragazze”, programma Rai trasmesso dagli studi di Torino, arrivando al successo con “Avanzi” e “L’ottavo nano”. Ha scritto anche un monologo per i diritti delle donne, denunciando i femminicidi: “Ferite a morte”
COSA FA
Attualmente scrive libri. L’ultimo è appunto il romanzo “Cronache dal Paradiso” (Einaudi, euro 17), in precedenza tra gli altri ha scritto “Dai diamanti non nasce niente. Storia di vita e giardini”, il suo lavoro d’esordio, fino a “La vasca del Fuhrer” pubblicato nel 2020. Non esclude di poter tornare in tv, anche se al momento ama dedicarsi proprio alla scrittura