Cia Cuneo esprime a gran forza la propria contrarietà al cibo “coltivato” in laboratorio

Lo afferma Silvio Chionetti: vicedirettore e responsabile dell’area tecnica provinciale dell’organizzazione agricola. Che aggiunge: “L’agricoltura ha alle spalle decenni di lavoro per offrire eccellenze sempre migliori e queste multinazionali arrivano e si nascondono dietro a un brevetto per fornire prodotti di cui conosciamo nulla”

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Cosa è il cibo sintetico di cui si inizia a discutere sempre più spesso nel mondo agroalimentare mondiale, europeo e italiano? Dalla scienza non sono ancora arrivati approfondimenti sufficienti per definirlo. Tuttavia, nel caso della carne si può considerare come un prodotto proteico ricavato dalla coltivazione in vitro di cellule o tessuti di origine animale. Per questo motivo è più corretto chiamarlo cibo “preparato” in laboratorio. Negli ultimi dieci anni le aziende che si occupano di carne in vitro sono notevolmente cresciute. A oggi nel mondo se ne contano 117.

La realizzazione di cibo in laboratorio sta interessando anche lo sviluppo di nuove tecniche per costruire altri prodotti di origine animale come il tonno, il salmone, i frutti di mare, il latte e le uova. Esistono poi progetti che stanno studiando la possibilità di dare vita a cibi alternativi, combinando diverse tecniche: proteine vegetali; fermentazione e coltura cellulare.

A oggi, in Europa non è pervenuta alcuna richiesta autorizzativa all’introduzione sul mercato di carni da laboratorio, che richiederebbe, comunque, secondo il Regolamento Ue 2015/2283, l’approvazione attraverso la Novel Food Regulation e con necessario parere tecnico dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) e della Commissione Europea. Ma a preoccupare il mondo agroalimentare tradizionale sono gli investimenti finanziari di alcune aziende europee, ad esempio in Olanda e Danimarca, impegnate nella produzione e nella sperimentazione di cibo sintetico. Oltretutto, il percorso sarebbe contradditorio rispetto agli obiettivi di sviluppo introdotti dall’Unione Europea negli ultimi anni, che hanno l’obiettivo di produrre cibo meno impattante sull’ambiente e capace di garantire la salute del consumatore.

Affermano dall’Area Economica della Cia nazionale-Ufficio di Bruxelles: “I progetti del cibo da laboratorio necessitano di un inquadramento chiaro dal punto di vista scientifico e normativo. Però va assolutamente tutelato il modello produttivo tradizionale che sta diventando sempre più sostenibile, soprattutto in risposta al fenomeno dei cambiamenti climatici. In quale modo? A livello zootecnico, ad esempio, attraverso la riduzione degli antimicrobici, lo sviluppo degli allevamenti biologici e la produzione di biogas con il recupero dei reflui. Il cibo è territorio, natura, cultura, salute e diversità: un patrimonio da salvaguardare e valorizzare contro ogni tentativo di omologazione. Bisogna difendere le produzioni italiane di qualità”.

Le criticità della carne in vitro
A livello di impatto ambientale della carne in vitro c’è da chiedersi quanto questa produzione alternativa contribuisca a contrastare davvero il fenomeno dei cambiamenti climatici, diminuendo gli allevamenti che potrebbero rappresentare una delle cause di inquinamento atmosferico e idrico. Recenti studi, infatti, avrebbero confermato che la carne in vitro ha un impatto ambientale decisamente più elevato rispetto al pollame e alla carne di maiale e di poco inferiore alla carne di manzo.

Ci sono poi preoccupazioni sulla trasparenza dei processi produttivi in quanto le cellule si coltivano con siero fetale bovino, dando origine a prodotti definibili utra-processati. Di conseguenza, risulta difficile considerare la carne “coltivata” sostenibile dal punto di vista ambientale. Emergono, inoltre, aspetti da monitorare con attenzione legati alla trasparenza e alla tutela della salute dei cittadini. Alla luce di ciò andrebbe impedito l’utilizzo di una denominazione che possa confondere e ingannare il consumatore.

Infine, vanno considerati i costi di produzione dei cibi di laboratorio molto più alti di quelli dei prodotti di origine animale naturale. Per quale motivo? Perché necessitano dello sviluppo di processi costosi e complessi, coperti da brevetti. Quindi si rischierebbe di creare un monopolio produttivo con conseguenze in termini di sicurezza alimentare e di sostenibilità economica, sociale e ambientale.

Cosa ne pensa Cia Cuneo
Cosa ne pensa Cia Cuneo del cibo prodotto in laboratorio? Lo abbiamo chiesto a Silvio Chionetti: vicedirettore e responsabile dell’area tecnica provinciale dell’organizzazione agricola. Afferma: “Tutto il cibo coltivato in laboratorio va contro le nostre idee del Made in Italy e del mangiare sano a livello etico, sanitario ed economico. E’ un percorso sul quale abbiamo nessuna certezza dal punto di vista della lavorazione. Poi, nel territorio della “Granda” dove i bovini di Razza Piemontese sono un’eccellenza di qualità garantita per le caratteristiche organolettiche e gli allevamenti rappresentano un esempio di sostenibilità ambientale, a maggior ragione siamo con forza nettamente contrari allo sviluppo della ricerca e della produzione del cibo e della carne in vitro. Abbiamo alle spalle decenni di tradizioni e di lavoro per offrire prodotti sempre migliori e queste aziende multinazionali arrivano e si nascondono dietro a un brevetto per fornire un cibo di cui conosciamo nulla”.

C’è chi sostiene che la popolazione mondiale è in crescita e ci sarà sempre una maggiore necessità di cibo che le produzioni “naturali” non riuscirebbero ad assicurare? “Dovrebbe pensarci la ricerca scientifica a individuare dei metodi innovativi capaci di migliorare le quantità delle produzioni mantenendo sempre elevata la qualità. Così da sopperire all’esigenza di avere più cibo, ma prodotto in modo “naturale”.

Si dice che l’agricoltura e soprattutto gli allevamenti zootecnici provochino inquinamento e, di conseguenza, incidano sui cambiamenti climatici? “Gli allevamenti, non solo dei bovini, ma anche quelli dei suini e gli avicoli, stanno andando verso una sempre maggiore sostenibilità ambientale. Un percorso irreversibile. E poi l’hanno dimostrato i tre mesi di chiusura totale del 2020 per l’emergenza Covid: l’agricoltura ha continuato a lavorare e i livelli di inquinamento sono diminuiti in misura notevole. Quindi non è il settore che contribuisce di più alle emissioni nocive in atmosfera”.

c.s.