Vaticanista di Mediaset, Fabio Marchese Ragona ha seguito gli ultimi giorni di Benedetto XVI, registrando l’immenso e quasi inaspettato affetto dei fedeli per l’ex pontefice tedesco. «Quello che ho percepito – ci dice -, assieme ai colleghi che hanno seguito quei giorni di attesa e apprensione, poi di lutto e infine per la tumulazione, è stata la grande partecipazione emotiva dei fedeli con un afflusso di quasi duecentomila persone in tre giorni da tutto il mondo, che nessuno si sarebbe aspettato. Tanto che inizialmente i funerali erano stati programmati all’indomani della morte e invece poi si sono svolti il 5 gennaio perché si era registrato questo flusso continuo. Considerato che non era più papa da circa dieci anni, qualcuno credeva che Benedetto sarebbe finito nel dimenticatoio, invece la sua memoria resta viva».
Molti pregiudizi hanno accompagnato questo Papa. Come se lo spiega?
«Già da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, era stato ribattezzato “Panzer-Kardinal”. Ricordiamo poi quel titolo del Manifesto: “Il pastore tedesco”. Tanti pregiudizi legati alle sue presunte posizioni retrograde, di destra e per questo poi oggetto di attacchi. Però si dimentica il suo contributo non solo da papa ma come studioso, fin dalla partecipazione al Concilio Vaticano II».
Perché Benedetto decise di dare le dimissioni?
«Si è detto di tutto, si è parlato di pressioni da parte della massoneria, addirittura dalla Casa Bianca. Tutte illazioni smentite dal suo segretario padre Georg (che intanto ha incontrato Papa Francesco per un chiarimento) perché la realtà è che Benedetto ha agito in piena libertà e coscienza. È vero che le sue dimissioni sono coincise con un periodo difficile per la Chiesa: i Vatileaks, la fuga dei documenti, gli scandali, la corruzione. E in tanti hanno legato a questo la sua scelta, ma lui aveva deciso prima, ha fatto un passo indietro perché si era reso conto di non avere più le capacità fisiche per il peso del pontificato. Lo ha capito tornando da Messico e Cuba, quando il medico gli ha comunicato che non avrebbe più potuto sostenere viaggi intercontinentali e lì ha maturato l’idea di dimettersi, confidandola ai suoi collaboratori».
Fabio Marchese Ragona:
«La sua morte ha spazzato via i pregiudizi»
Il cardinale Bertone ha detto che lascia in eredità un patrimonio di grande sapienza teologica.
«È così perché è stato il più importante teologo del Novecento, la sua eredità intellettuale è unica per la storia della Chiesa. Ha parlato del rapporto tra fede e ragione ed è suo il contributo nella lotta al relativismo etico, questo lasciarsi trascinare da correnti e dottrine. Inoltre ha aperto il dialogo tra credenti e non credenti. Tutte questioni che ci rimangono e di cui i suoi successori faranno tesoro».
Perché tanta dietrologia sul suo rapporto con Francesco?
«Perché la coabitazione di due papi in Vaticano rappresentava un fatto inedito e ha dato adito a frange estreme per ricamarci sopra attaccando. Ma lo stesso Benedetto ha smentito denunciando pubblicamente i tentativi di coloro che, delusi dalla sua rinuncia, seminavano zizzania. Lui ha confermato che il Papa era solamente uno, Francesco, al quale ha ribadito obbedienza non una, ma più volte prima che quest’ultimo salisse al soglio pontificio. Lo ha fatto quando ha radunato il collegio cardinalizio per annunciare le dimissioni e per dire: tra voi c’è già il mio successore e da adesso gli prometto obbedienza. E subito dopo l’elezione, Papa Francesco, quando era ancora nella Cappella Sistina, chiese di parlare con Papa Benedetto dopo l’Habemus Papam e il saluto ai fedeli: anche in quell’occasione Benedetto gli promise preghiere e obbedienza. Tra i due c’era quindi un rapporto di stima e affetto, si sentivano al telefono, si incontravano. Qualcuno ha provato a chiedere a Francesco se non temesse dal Papa emerito una rivoluzione. Ma era come avere il nonno saggio in casa, qualcosa di prezioso, non un problema».
Con la scomparsa di Benedetto si fa più difficile il governo di Francesco?
«Non cambierà nulla, Francesco ha detto che si dimetterà solo se capirà di non avere più le forze per andare avanti. È vero però che se Benedetto fin qui aveva fatto da filtro per le forze tradizionaliste che quindi non agivano in modo aggressivo, ora c’è una situazione da liberi tutti. E lo abbiamo visto già durante il funerale o anche prima, quando sono usciti attacchi al Papa davvero pesanti. E questo non fa bene alla Chiesa che non dovrebbe dividersi in tifoserie, ma restare unita attorno a Pietro che è il vicario di Cristo e come Benedetto aveva confermato, è il Papa, uno solo».
Lei recentemente ha intervistato proprio Bergoglio. Quali sensazioni ha ricavato?
«Di grande serenità: lo attaccano, lo criticano ma lui è sereno e non dà conto a nessuno. È un uomo umile e semplice con la vocazione del pastore che ascolta, stringe le mani di chi ha bisogno, immagina una Chiesa in ascolto del popolo di Dio, per questo ha voluto il Sinodo sulla spiritualità, per riflettere sulla Chiesa stessa, sui suoi limiti e le potenzialità. Mi rimane il ricordo, durante l’intervista, di una grande disponibilità, anche verso chi non conosceva, la mia troupe, le altre persone della produzione, con battute, strette di mano, pensieri e regalini. Ma era così lo stesso Benedetto, descritto come un freddo professore di teologia. Molti dimenticano le sue aperture sui temi della povertà, della globalizzazione, la tutela del creato. Quindi c’è continuità, anche se caratterialmente sono papi diversi, oltre che per formazione ed esperienza. Però c’è grande continuità nello stile e nell’attenzione verso il prossimo».
Lei ha scritto il saggio “Il mio nome è Satana”: un argomento che torna d’attualità?
«Il Papa ne parla spesso, mettendo in guardia anche da certi demoni gentili che bussano alla porta e poi ti spingono sull’orlo del precipizio: purtroppo è la realtà. In tanti non credono al diavolo, anche all’interno della Chiesa, ma significa non credere al Vangelo, perché il primo esorcista è stato proprio Cristo. Ed esiste per questo anche all’interno della Chiesa come ha denunciato più volte padre Amorth. Può sembrare qualcosa di medievale, ma non è così, è una realtà attuale e purtroppo non concede scampo se ci si lascia prendere dalle derive che danno spazio al male».
Recentemente ha seguito Papa Francesco ad Asti.
«Sì, sono stato a Portacomaro e anche ad Alba. Sono rimasto stupito dall’accoglienza. E non solo. Mi spiego, sono stato ai mercatini di Natale e ho visto per esempio l’attenzione speciale dei venditori verso i turisti. E poi, parlando di cose più terrene, ho apprezzato la cucina, molto molto buona. Ad Alba ho cenato con altri colleghi, il cameriere proponeva diversi piatti e quando gli ho detto che in genere mangio poco, lui mi ha fatto notare che allora mi trovavo nel territorio sbagliato. E alla fine mi ha regalato un cioccolatino dicendomi: questo almeno se lo può concedere».
CHI È
Nato a Milano nel 1982 e cresciuto in Sicilia, è giornalista vaticanista. Dopo aver svolto stage in Rai e a SkyTg24 è arrivato a Mediaset, dove lavora dal dicembre 2008. Ha lavorato a “Studio Aperto”, “News Mediaset”, “Tgcom24”, “Tg4” e “Videonews”
COSA HA FATTO
Nel gennaio del 2021 ha realizzato un’intervista in esclusiva mondiale a Papa Francesco trasmessa da “Speciale TG5” e seguita da 5 milioni e mezzo di telespettatori. Il dialogo è poi diventato un libro, firmato dal Pontefice, e pubblicato da BUR- Biblioteca Universale Rizzoli
COSA FA
Segue abitualmente il Papa per Tg5, Tg4, Studio Aperto e Tgcom24, canale all-news all’interno del quale conduce e cura ogni domenica alle 14,15 la rubrica “Stanze Vaticane”. È autore di diversi libri, tra questi “Il mio nome è Satana – Storie di esorcismi dal Vaticano a Medjugorje” (Edizioni San Paolo, 2020). Ha scritto anche testi fuori dalle vicende legate al Vaticano