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Il ritorno dei maiali neri

Nel Medioevo erano venduti al mercato, nulla a che vedere con quelli rosa. La rinascita del “nero piemontese” merito di Andrea Romero e degli allevamenti di Lequio Tanaro e Salmour

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Una delle miniature all’interno de “Le Livre du Che­valier Errant”, romanzo ca­valleresco scritto da Tom­maso III di Saluzzo si intitola “Al Mer­cato”. Se interpretata dal punto di vista gastronomico si tratta di un documento molto importante. Le penne bianche delle galline certificano la validità storica della Gallina Bianca di Saluzzo, tanto per dirne una. E, per dirne un’altra, abbiamo la certezza che siamo riusciti a disperdere il nostro patrimonio suinicolo, perché i maiali che nel medioevo si vendevano al mercato sono indiscutibilmente neri. Come la cinta senese, la mora romagnola o il nero dei Nebrodi.
In poche parole, i maiali di cui ci nutriamo oggi non hanno un grammo a che spartire con quelli con cui si nutrivano i nostri antenati. Almeno non ce l’avrebbero, se non fosse per la caparbietà di chi ha voluto scavare nelle nostre radici zootecniche e si è impegnato fino a veder riconosciuta la razza del Nero Piemontese.
Come tutte le imprese che hanno bisogno di impegno e di tempo di certo non è stata intrapresa da centinaia di persone. A oggi gli allevatori di questo animale raro sono sei e ci crediate o no, sono tantissimi. Uno dei motori dell’operazione si chiama Andrea Romero. Origini carmagnolesi, residente a Lequio Tanaro con una lunga esperienza sulla valorizzazione della Razza Bovina Piemontese a fianco di Sergio Capaldo, responsabile zootecnico de La Granda legata a Slow Food. Da questa passione è nata in lui la volontà di dedicare gli sforzi alla riscoperta del maiale nero che, da fonti fotografiche, era ancora allevato a inizio ’900. Motivo della sua scomparsa sono la poca adattabilità agli allevamenti intensivi e la lentezza di crescita, prerogative che rendono la carne decisamente più sana e gustosa, ma molto meno remunerativa. Romero da qualche anno si è impegnato su due fronti. Prima di tutto a selezionare e far riconoscere la razza, partendo da alcuni capi della vecchia razza denominata Nero della Lomellina e in secondo luogo allevare questi maiali neri, dal muso e zampe anteriori bianchi, allo stato brado, nel rispetto totale del benessere animale. Un allevamento è a Lequio Tanaro “Podere del Vescovo” in cui si riproducono, fanno il nido (non stupitevi, in natura dovrebbe essere proprio così) e nascono, l’altro a Salmour in un luogo meraviglioso ad esclusivo loro utilizzo, La Collina dei Maiali Neri, nata dalla collaborazione con Flavio Mozzone. Si tratta di un’intera collina ricoperta di boschi con tanto di lago in cui i maiali vivono in branco, nutrendosi delle ghiande delle querce e delle nocciole “tonde e gentili” che tempo addietro erano state impiantate. Se avete la fortuna di visitarla, come è successo a me, dovete andarli a cercare perché vivendo in assoluta libertà, si muovono insieme in un vasto territorio che mette a disposizione per ogni capo dagli 800 ai mille metri quadrati. E il pensiero corre ai grandi maiali rosa a cui siamo abituati che vivono in gabbie strettissime.
Inutile dire quanto questo stile di vita giovi alla bontà delle carni che vengono lavorate dallo storico salumificio Chiappella di Clavesana. Il risultato è a dir poco strepitoso, in ogni prodotto che ne deriva. Non vi dirò di più, così sarete obbligati a cercarli, assaggiarli e darmi ragione.

A cura di Paola Gula

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