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alla riscoperta di matteo olivero e del divisionismo

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Il Divisionismo, riconosciuto come un’espressione artistica autonoma, nacque fra il 1889 e il 1890 a Milano.
La prima Triennale allestita all’Accademia di Brera nel 1891, quando ancora persisteva la pittura realista dei Macchiaioli e quella ribelle degli Scapigliati, segna la nascita di questo movimento d’avanguardia, di primaria importanza anche a livello internazionale per novità, collegamento e anticipazioni con le grandi dinamiche storico-sociali e artistico-culturali europee del Novecento.
Giovanni Segantini, Gaetano Previati e Pellizza da Volpedo ne rappresentano i principali maestri. Fu proprio la molteplicità delle idee e delle visioni di questi tre leader ad animare il cosiddetto “primo dibattito” sulla pittura divisa, svoltosi tra Milano, Torino e Genova.
I dipinti divisionisti, realizzati da pittori socialmente impegnati e da artisti che, come il saluzzese Matteo Olivero, diedero voce a culture apparentemente periferiche e per lungo tempo sottovalutate, si caratterizzano per una rivoluzionaria concezione della luce e della materia. La pittura di “luce” identifica ogni percorso figurativo dei divisionisti, sedotti dai trattati del chimico francese Michel-Eugène Che­vreul, “La legge del contrasto simultaneo dei colori” (1839), e del fisico americano Ogden N. Rood, “Modern Chroma­tics” (1879). Gli italiani però, rispetto ai vicini d’Oltralpe, sono autori originali. Resisto­no al metodico uso del “pun­to”, teorizzato dagli impressionisti francesi, e preferiscono ampie strisciate di pennello applicate con maggiore libertà.
Le pennellate divise, spezzate, frante, vengono ricomposte idealmente dall’occhio dello spettatore. Il fenomeno percettivo che si crea, appare amplificato dall’uso della luce disarticolata, disgiunta e ricomposta grazie alla percezione visiva.
All’immagine dipinta, legata al simbolismo europeo, sottintende l’idea della vibrazione, dell’implementazione dell’effetto luminoso, ma soprattutto la liberazione della pennellata dai vincoli tradizionali.
I divisionisti spaziano oltre il classicismo, oltre il realismo e, già proiettati verso il XX secolo e la contemporaneità, esplorano uno spettro grandioso e infinito di possibilità e rese pittoriche. Inoltre, mentre gli impressionisti dipingono en plein air, di fronte al paesaggio e alla natura per ricreare con immediatezza gli effetti della percezione visiva, i divisionisti no. I divisionisti mettono il paesaggio alla prova della modernità, dividono e sommano il colore con meticolosa pazienza, ricercano l’anima occulta delle cose.
Nelle tele di Previati e di Segantini si avverte il paziente metodo processuale, che elabora nel corso del tempo l’immagine per strati successivi. C’è studio, c’è lentezza, c’è un’accurata lavorazione attuata attraverso passaggi e dipinture nei quadri divisionisti.
Questo sviluppo dell’ars pittorica va contro il mito della velocità, della celeritas, tanto celebrata dalle avanguardie agli inizi del Novecento eppure, osservando le opere di Previati, siamo all’alba della contemporaneità. Al contrario degli impressionisti francesi, che costituiscono un gruppo omogeneo di artisti, i divisionisti italiani non formano un’unione compatta e unita fra individui. La loro disomogeneità, però, favorisce lo sviluppo di tendenze, anime e generi molto ricchi e fecondi.
Languore, sensibilità, raffinatezza, elitarismo, nevrosi, artificio e soprattutto ambiguo concetto di mimesis della natura in chiave contemporanea sono tra i temi principali dei divisionisti, per lo più legati al Simbolismo europeo, all’immagine dell’artista veggente che decifra i fenomeni, alla nuova visione letteraria del Decadentismo, che ha co­me testi di riferimento “Il Pia­cere” di D’Annunzio, “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wil­de e “À rebours” di Huysmans.
Dopo l’immersione del Divi­sionismo nei temi sociali a ca­vallo del nuovo secolo, nei pri­mi anni del Novecento il fulcro del Divisionismo passa da Milano a Roma. Giacomo Bal­la, che conosce il Divisionismo nel 1897, diventa la figura centrale di un nucleo di artisti più giovani. Siamo alle radici embrionali del Futurismo. Quando, nel febbraio 1909, a Parigi è pubblicato il primo Manifesto Futurista, appare chiaro come il Divisionismo sia ormai una radice che appartiene alla storia. Una radice che i Futuristi stessi non di­menticano se, un anno più tardi, nel Manifesto tecnico della pittura futurista, i firmatari affermano: «La pittura oggi non può esistere senza il Divisionismo». A lui si affianca Matteo Olivero, di Pra Ro­tondo in Alta Val Maira che di­venterà una delle figure più rappresentative del movimento.

La pinacoteca ospita oltre 150 dipinti suddivisi
in quattro aree tematiche

Dal 2013 il salone al secondo piano dell’Antico Palazzo Comunale di Saluzzo ospita la Pinacoteca dedicata al pittore Matteo Olivero (1879-1932). La raccolta, acquisita dal Comune di Saluzzo attraverso donazioni e lasciti testamentari, comprende oltre 150 dipinti, per lo più oli su cartone o su tela, ma anche acquerelli, a cui si aggiungono altrettanti disegni, documenti, fotografie e carteggi, conservati all’Archivio Storico in Castiglia. Presso la Pinacoteca è esposta una selezione delle opere scelte dalla curatrice, professoressa Maggio Serra. Il percorso è suddiviso in quattro ambienti espositivi sulla base di altrettante tematiche (il tempo del realismo sociale, l’adesione al divisionismo, gli anni Venti, il metodo di lavoro) per riscoprire la vicenda umana ed artistica di un grande pittore, popolarmente conosciuto come il “pittore delle nevi”: la sua fama è infatti legata alle vaste e definitissime visioni degli amati monti cuneesi, che celebrano la solennità della montagna sotto la luce cristallina degli inverni innevati. (Daniela Grande)

L’autrice dell’articolo: insegna lettere e scrive di arte, viaggi
ed enogastronomia

Nata a Tortona (in provincia di Alessandria) nel 1971, vive a Castelnuovo Scrivia e insegna discipline letterarie all’ I.I.S. “Guglielmo Marconi” di Tortona. Dal 2001 come giornalista freelance pubblica articoli di arte, cultura, viaggi e tradizioni enogastronomiche sul mensile culturale “Medioevo. Un passato da riscoprire” (De Agostini Periodici – MyWayMedia) e dal 2021 collabora con il quotidiano online Wall Stre­et International Magazi­ne.
Scri­­­ve guide turistiche, libri di tradizioni enogastronomiche e saggi critici. Collabora con associazioni culturali e istituti di ricerca alla realizzazione di iniziative dedicate alla salvaguardia e alla promozione del territorio.

Nato a pra rotondo, in valle maira, nel 1879 olivero è stato seguace di segantini

Nato nel 1879 a Pra Rotondo, in Alta Val Maira, Olivero frequentò la Scuola Tecnica a Cuneo e nel 1895 si trasferì a Torino per studiare all’Accademia Albertina. Seguace di Segantini, si recò a Ginevra e a Saint Moritz per conoscere dal vivo i luoghi del maestro di Arco, trovando nei paesaggi montani di Segantini un impareggiabile modello di luminosità, ottenuta per mezzo del frazionamento delle tinte. Nel 1902 si presentò alla prima Esposizione Qua­driennale di Torino con un paesaggio montano dal titolo “Ultime capanne”, realizzato con la tecnica divisionista. Nominato nel 1903 corrispondente per l’Italia della rivista parigina Les Tendances Nouvelles con lo pseudonimo di Leonardo, dal 1905 elesse a patria d’adozione Saluzzo, scegliendo di vivere e dipingere lontano dalle grandi città, non disdegnando la partecipazione alle esposizioni d’arte nazionali e internazionali.
Dal 2013 l’Antico Palazzo Comunale di Saluzzo è sede della Pinacoteca Matteo Olivero (1879- 1932).

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