«Fondazione Radici vuole proteggere la nostra memoria»

Bruno Murialdo e l’impegno per il territorio: «Anche a Biella nascerà un progetto simile»

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Un video di 45 mi­nuti per raccontare la memoria del territorio. Per non disperdere quel patrimonio di storie, tradizioni, conoscenze e gestualità del mondo contadino – spesso narrate per via ora­le – che rischiano di scomparire nella polvere del tempo. Perché non c’è futuro se non si ricordano le proprie radici. Da questo punto di partenza si di­pana il lavoro di Fondazione Ra­dici che il 12 febbraio, al Teatro Sociale di Alba, ha presentato il docufilm “Omero non deve morire. La condizione contadina nella Langa della Malora ai tempi di Beppe Fenoglio” che raccoglie le testimonianze di 12 cantori-contadini, commercianti, ristoratori, maestre, persone comuni, età media 90 anni – che novelli Omero intervistati dal professor Piercarlo Grimaldi, hanno raccontato la vita nella Langa fenogliana. Il lavoro, la fatica, la terra, la famiglia e gli affetti. Storie preziose che entreranno nel grande archivio della memoria, perché nulla venga dimenticato. Che è lo scopo della Fon­dazione di cui il fotografo Bruno Mu­rialdo, as­sieme a Marcello Pasquero (direttore) e Clau­dio Rosso (presidente) è promotore.

Come nasce Radici?
«Sono un reporter che dal 1969 lavora in tutto il mondo ma questo territorio, che è il territorio di mio padre, mi ha sempre affascinato. Da allora ho iniziato a raccogliere le immagini di questa terra e in più periodi mi sono occupato di raccontarne i paesi, la storia, il paesaggio, i personaggi ascoltandone le voci. Molto dopo, negli anni ’90 ho iniziato a raccogliere testimonianze filmate nelle quali personaggi che oggi non ci sono più mi hanno raccontato la loro vita, che era la vita di tanti contadini, di tante famiglie, di tanto lavoro. Non mi sono più fermato. Tre anni fa parlando con Pasquero e Rosso ci siamo detti: perché non creare un progetto che raccolga, valorizzi e salvaguardi la memoria del territorio? Così è nata Radici».

La Fondazione nasce tre anni fa, ma ha già prodotto molto materiale.
«Sin dalla nascita è iniziato un lavoro certosino di archiviazione di storie del mondo contadino, economico, letterario e così via, coinvolgendo in alcune opere giovani registi che avevano già un’esperienza straordinaria in film come “Un passo alla volta”, realizzato per Confindustria, o “La Banda degli asini”. Abbiamo realizzato tanti docufilm che riguardano i personaggi che hanno fatto la storia di questo territorio affinché un domani i giovani possano ascoltarne la voce, perché le persone se ne vanno insieme alla loro storia e a tutta la loro cultura».

In questo contesto si inserisce “Omero non deve morire” (realizzato in collaborazione con il Comune di Alba e il Centro Studi Beppe Fenoglio per i 100 anni dalla nascita dello scrittore). Ce ne parla?
«Attraverso il racconto di personaggi che hanno vissuto a San Benedetto Belbo, Belve­dere Langhe, una certa Langa letteraria, si racconta Feno­glio ma anche la vita com’era in quel periodo. Il lavoro nei campi, la donna nel contesto del mondo contadino… Pre­cedentemente avevo lavorato con Nuto Revelli (di Murialdo è la foto di copertina di “L’anello forte. La donna: storie di vita contadina”, ndr): questo mi ha portato a capire perché fosse importante una fondazione che lavorasse sulla conservazione della memoria. Oggi succede che Radici co­mincia a essere ascoltata, perché nasce l’idea di raccontare il mondo industriale del Biellese: il tessile artigianale».

Ce ne parla?
«Siamo stati contattati da un Ente che ha sposato quello che è il nostro concetto di fondo: raccontare il territorio per non disperderne storia e tradizioni. Abbiamo già fatto tre giorni di interviste e il lavoro sarà presentato a maggio, tra Biella e Torino. Parleremo soprattutto dell’artigianato ma anche di quello che è “il fuori le mura” dell’azienda, perché “fuori” c’è un paese bellissimo che vale la pena di scoprire. È un territorio che ha tantissimo da raccontare soprattutto ai giovani che un giorno si chiederanno: cos’è successo, come si viveva in quel periodo?».

Lei è stato uno dei primi, alla fine degli anni ’60, a parlare di promozione del territorio attraverso le sue foto.
«Lavorando in editoria mi era molto facile “vendere” questo territorio per immagini. Miei servizi sono stati pubblicati in riviste nazionali e internazionali. Voglio prendermi l’onere e l’onore di dire che la promozione l’ho fatta eccome e con grande orgoglio. Non ho fatto parole, ma foto e fatti. Oggi le mie parole sono racconti su “Stampa”, pagine che raccontano la vita delle persone. Tutte queste storie arrivano dall’idea di entrare in una bolla del tempo che esiste ancora, che si trova parlando con le persone, perché esistono ancora luoghi, borgate dove si vive ancora come cento anni fa».

Cosa bisognerebbe fare perché questa bolla – anche di biodiversità – non si disperda?
«C’è bisogno di lungimiranza. Penso all’Alta Langa: temo che il problema surriscaldamento del pianeta, insieme a quelli provocati da noi, questo caldo terribile e la mancanza d’acqua spingano a spostare le vigne sempre più in alto invadendo boschi in cui è presente una biodiversità che troviamo solo qui. Dobbiamo lavorare affinché il turismo sia rispettoso delle peculiarità del territorio. Questa terra ha avuto la fortuna di avere tutto: dalla Ferrero, azienda da sempre in crescita che nemmeno il lockdown ha fermato, al settore del vino, quello enogastronomico, il turismo. Bisogna gestire le cose con intelligenza, tutelare i piccoli paesi e le loro botteghe. Nasce Radici anche per dare una sforbiciata a queste cose, ci riuscirà non ci riuscirà? Non lo so, ma almeno proviamo a trasmettere qualcosa».

A cura di EriKa Nicchiosini