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C’è anche Mogol musica nuova per il governo

Il ministro Sangiuliano ha nominato il poeta di Battisti «consigliere per la cultura popolare»

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Il ministro della Cultura, Gennaro San­giu­liano ha voluto nel suo staff Giulio Rapetti Mogol con l’incarico di «consigliere per la cultura popolare». Il poeta affiancherà Vittorio Sgarbi che è già sottosegretario e che aveva cercato di inserire nello staff anche Morgan, salvo poi ripensarci.
Mogol ha subito spiegato di aver accettato l’incarico per la grande stima che nutre nei confronti della premier Giorgia Meloni, molto meno per le forze politiche in generale: «Non ho cambiato idea rispetto a quello che è il mio interesse verso la politica: non credo ai partiti ma alle persone, alle persone che dimostrano di essere fattive. Le mie idee si basano sulla valutazione di chi dice le cose che condivido».
Allo stesso tempo, Mogol non ha nascosto l’approvazione nei confronti dell’operato della premier in carica: «È una persona, una donna, volitiva e competente, studiosa e con la grinta giusta per portare avanti il compito che si è data». Da tempo Mogol sostiene che la musica possa avere un ruolo sociale e culturale molto più importante di quello che attualmente le viene riconosciuto. La sua cittadella in Umbria, ovvero il Cet, centro europeo di Toscolano, è una scuola riservata a tutti i talenti della musica, un’associazione che ha fondato proprio per riqualificare la musica pop e sensibilizzare tutti sull’importanza della cultura popolare. Ha anche un altro ruolo, quello di presidente onorario della Siae.
A proposito del suo nuovo incarico Mogol ha spiegato come intende muoversi: «Sono consigliere per la musica e dunque cercheremo di fare il possibile per contribuire ad un miglioramento della produzione. La mia idea è che proprio dalla cultura popolare dipende l’accrescimento anche culturale delle persone: se la cultura popolare è evoluta, la gente che impara a memoria i testi delle canzoni, ha la possibilità di nutrirsi di concetti più elevati». Insomma, conclude Mogol, «la cosa principale non è inseguire la massa, rincorrere le visualizzazioni sui social, ma cercare la competenza, valutare il bello».
Non ha amato l’ultima edizione del Festival di Sanremo. Dice però di non averlo visto: «Ma da quello che ho sentito non mi è sembrato ci fosse grande qualità. È stato un festival che ha giocato più sull’attrattiva dello spettacolo in sé». Infatti, prosegue Mogol, ormai Sanremo «è il festival degli influencer. Ormai se vuoi entrare al festival devi avere un seguito social consistente o devi fare colore e sensazione» dice, dribblando le domande sul bacio di Rosa Chemical a Fedez. «Le hit radiofoniche? – ha continuato Mogol – Forse anche le playlist delle radio vengono costruite sulla base del seguito social o delle visualizzazioni degli artisti. Ora parlerò con il ministro Sangiu­liano perché dal Cet, la scuola che ho fondato, escono dei pezzi bellissimi che vale la pena di poter far conoscere e presentare. È importante per la cultura popolare creare degli spazi alternativi al festival. A Sanremo pensano a quello che può portare in alto gli ascolti tv e le visualizzazioni sui social. E lo capisco. Però poi le canzoni non restano. Mentre quando faccio delle serate con canzoni mie, anche di 40 anni fa, la gente le sa ancora a memoria. Quanto rimangono le canzoni dei festival degli ultimi anni?». E allora si può immaginare uno sviluppo diverso per l’evento musicale che in Italia fa parte ormai della tradizione. «Io chiedo solo uno spazio alternativo al festival dove fare conoscere altre canzoni».
Insomma, l’incarico è stato assegnato. E Mogol non vuole certo lasciare che sia un qualcosa di virtuale. Perché ha le idee chiare, in proposito. A prescindere dalle posizioni politiche, che pure sono altrettanto chiare. Qualcuno ha subito ripensato a ciò che si è sempre detto su Battisti, ritenuto un interprete di destra, trovando la quadratura del cerchio. Mogol ha commentato il lavoro svolto dal governo Meloni fino a questo momento: «Si son trovati a fronteggiare situazioni spaventose, pensiamo solo al 110 per cento. È la follia, e pensiamo al reddito di cittadinanza che fa contenta la gente ma a che prezzo? Come presidente Siae mi sto occupando del copyright di cui c’è stata l’approvazione, ma mancano i decreti attuativi e si affamano i poveri autori, durante la pandemia abbiamo dovuto addirittura fare i pacchi viveri per fronteggiare la situazione».