Avrebbe compiuto 70 anni lo scorso l6 febbraio, Massimo Troisi. E nei giorni scorsi l’attore napoletano è stato celebrato in diversi modi, quasi riscoperto, premiato anche con una laurea honoris causa all’Università Federico II di Napoli (in “Discipline della musica e dello spettacolo. Storia e teoria”). Un riconoscimento più che postumo, ma decisamente meritato dall’attore napoletano che – come spesso succede – è stato pienamente apprezzato dalla critica e in generale, con un po’ di ritardo. Lui stesso aveva scelto una via impervia per realizzare il suo progetto artistico e di vita, senza nascondere l’identità territoriale ma anzi sottolineando l’appartenenza partenopea. E l’uso del dialetto senza filtri aveva ostacolato il suo cammino. Nelle rievocazioni viste recentemente – tra tutte quella sulla Rai – emerge spesso questo dettaglio. Significativo un primo piano su Mastroianni che ammette, senza remore: «Mi sono trovato molto bene con Massimo, non capisco tutto quello che mi dice ma credo che siano belle cose». Una battuta rivelatrice. Ma per Troisi si trattava di una questione di principio, far passare quella cultura profondamente napoletana in contrapposizione al modello del nord, in una fase storica in cui questo divario era ancor più sentito che adesso.
Ma ciò che è meno risaputo, probabilmente, è quanto Troisi abbia dovuto lottare nella vita per affermarsi. Nato in una famiglia molto numerosa (papà Alfredo ferroviere e mamma Elena casalinga) condivideva l’appartamento anche con altri parenti. Fin da piccolo Massimo deve fare i conti con una patologia invalidante, una degenerazione della valvola mitrale. A teatro ci arriva quasi casualmente. Quando ha 17 anni la morte della madre avviene in circostanze drammatiche ed è un trauma, ma in qualche modo arricchisce la sua verve comica. Nel 1976 si sottopone a un intervento alla valvola mitrale, a Houston, reso possibile da una colletta organizzata dal quotidiano Il Mattino di Napoli. Da lì in avanti si sviluppa la sua carriera, ma 17 anni (i numeri…) dopo un nuovo intervento negli Stati Uniti non si rivela risolutivo come aveva sperato, e la sua salute comincia a peggiorare. Sono trascorsi due giorni dal termine delle riprese di “Il postino”, quando Troisi muore. Attratto da donne fascinose, aveva condiviso un lungo amore con la sceneggiatrice dei suoi film, la scrittrice piemontese – nata a Borgomanero e torinese d’adozione – Anna Pavignano che, come lei stessa ha rivelato in una recente intervista al Corriere della Sera, a Massimo insegnò la classica frase «Dui puvrun bagnà n’t l’oli». Facile immaginare l’esito…
Oggi avrebbe 70 anni. Malinconia tra i sorrisi
Massimo Troisi, una vita caratterizzata dalla malattia e una vena artistica straordinaria nel segno della napoletanità