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Vent’anni dall’addio. Un altro così non c’è

Alberto Sordi ha rappresentato un’epoca e l’Italia si identificava nei suoi personaggi. Irripetibile?

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Sono passati vent’anni esatti dalla sua morte (era il 24 febbraio del 2003) e anche noi di IDEA torniamo a celebrarlo, dopo averlo già fatto nel 2020 per ricordare, in quel caso, la ricorrenza dei suoi cento anni (era nato infatti il 15 giugno del 1920). Perché Alberto Sordi resta un personaggio ineguagliabile del cinema italiano e, al tempo stesso, l’immagine della società italiana negli anni del boom, oggi manca la sua verve, il suo talento, il suo equilibrio, il suo straordinario umorismo. E la grandezza delle sue interpretazioni. Curioso osservare come quei personaggi, perennemente in bilico tra la macchietta irresistibile e lo psicodramma, testimonial perfetti dell’italica arte di arrangiarsi, abbiano realmente caratterizzato un’epoca e in definitiva, l’Italia stessa, rimanendo attuali fino ai giorni nostri. E dire che, sono passati appunto vent’anni dall’addio all’Albertone nazionale.
Ma quei personaggi sono ancora riconoscibili nella società in cui viviamo oggi? Se la risposta è sì, significa che in qualche modo, parliamo di caricature i cui tratti principali restano adattabili a un contesto sociale che pure nel frattempo, per molti versi, è radicalmente cambiato. Significa anche che una certa italianità è tuttora un elemento distintivo. E ancora, che la cultura odierna in generale continua a fare riferimento a quell’Italia, anche perché sono soprattutto coloro che arrivano da quel periodo – i famigerati boomer – a governarla.
Nel frattempo però risulterebbe difficile identificare un erede, un successore, un Alberto Sordi dei nostri giorni. Non perché non si siano intraviste certe qualità in nuovi attori comici capaci di dominare la scena attuale (vedi Checco Zalone). Ma certamente si fa fatica a trovare la stessa rappresentatività, l’identica capacità di essere protagonisti sul set ma anche nella vita sociale, a tutti i livelli, come sapeva fare Sordi che era amico – per dire – del premier Andreotti tanto da coinvolgerlo in un suo film (“Il tassinaro”, 1983). Sordi poteva. Tutto è cambiato e probabilmente ci vorrà ancora parecchio tempo prima che nasca un nuovo Sordi. Anche se di epigoni ce ne sono stati, a cominciare da Carlo Verdone: stessa romanità, stessa versatilità e quella capacità di oscillare tra il comico e il tragico. Un concetto che Sordi seppe esprimere al meglio in un film – ancora una volta – iconico come “Un borghese piccolo piccolo” (1977, regia di Mario Monicelli) sulla base dell’omonimo libro uscito un anno prima a firma di Vincenzo Cerami. In definitiva, Sordi seppe fare della maschera individuale una maschera sociale: dal burocrate mediocre al mammone, dallo scapolone all’imbroglione. Oggi, in un modo resettato dal digitale, avviene il percorso contrario, come dice il filosofo Galimberti: sui social ci si identifica con un ruolo sociale anche a costo di sacrificare l’identità personale.