Le aziende agricole di montagne stanno vivendo un periodo incerto e, comunque, per essere sostenibili a livello economico devono diversificare il percorso lavorativo. Come vendere direttamente le loro produzioni ai consumatori, ma anche offrire delle proposte su altri fronti: i laboratori didattici; lo sport legato al tempo libero; il trekking. In sostanza devono diventare un punto di riferimento per quanti, oltre ad acquistare le colture, hanno il desiderio di conoscere meglio le tante incantevoli bellezze donate dal paesaggio in alta quota. Il lavoro agricolo rimane comunque il fulcro dell’attività. Come è andata la stagione produttiva 2022? A rispondere è Daniele Carletto, 44 anni, agrotecnico, presidente Cia della zona di Cuneo e, dal 2016, impegnato a gestire i terreni di famiglia ai 950 metri di altitudine di Tetto Baricca, nel Comune di Robilante. Un imprenditore che le Terre Alte le conosce bene e che mantiene un rapporto costante con i colleghi dell’area di cui è rappresentante. Afferma: “L’annata agricola in montagna e nel Cuneese di pianura è stata incerta e complessa, con alti e bassi a seconda del tipo di prodotto. I rincari energetici e delle materie prime hanno generato un rialzo esponenziale delle spese di produzione, ma il prezzo di vendita delle colture non ha avuto dei ritocchi adeguati. I nostri costi non sono stati assorbiti e distribuiti lungo la filiera. Però, il consumatore ha dovuto pagare un forte rialzo dei prezzi perché gli altri anelli della catena hanno generato speculazioni, scaricando sugli agricoltori la responsabilità degli aumenti. Un atteggiamento che deve finire attraverso un riequilibrio dei prezzi dei prodotti tra quanto viene riconosciuto all’agricoltore e quanto lo pagano i consumatori. E su questo è necessaria una vigilanza da parte delle autorità competenti. Inoltre, abbiamo dovuto fare i conti con la devastante mancanza di acqua”.
Il bilancio per qualche coltura? “Le castagne, che costituiscono una risorsa preziosa per la montagna, nonostante la buona qualità sono andate male. Il prezzo di vendita è stato molto basso. Sempre nelle Terre Alte la siccità ha causato parecchi problemi agli allevamenti. In alcune zone per abbeverare gli animali si è dovuto recuperare l’acqua a valle. E alcune aziende hanno continuato a farlo anche nel periodo invernale. Con dei costi enormi. Negli alpeggi, poi, la crescita dell’erba per alimentare i capi al pascolo si è ridotta al minimo. Si sono salvati i fagioli e i piccoli frutti che, al contrario, in pianura hanno dovuto affrontare molte difficoltà”.
Le prospettive 2023
A questo punto, quali sono le prospettive per il 2023 della stagione agricola in montagna? Sottolinea Carletto: “Il primo problema da risolvere sono le speculazioni sui prezzi di vendita dei prodotti che avvengono dopo il primo anello: cioè l’agricoltore. Se non si pone mano alla questione, l’annata è già finita prima di iniziare. Sugli aspetti climatici sono più fiducioso: in montagna abbiamo avuto un buon inverno e questo fa ben sperare sulla presenza sufficiente di acqua per irrigare”.
Ci sono altri temi in ballo? “Bisogna rivedere il taglio che è stato fatto sulle assegnazioni di gasolio agricolo a prezzo agevolato per le aziende insediate nelle Terre Alte. Infatti, sono state inserite alcune lavorazioni che aiutano la pianura, ma che in montagna non vengono proprio effettuate. Per cui, spesso, chi lavora in quota non riesce ad affrontare l’intera stagione con il quantitativo ottenuto”.