«La guerra va avanti perché c’è chi la vuole sulla nostra pelle»

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Un libro eloquente (“Scemi di guerra”), un monologo a teatro da tut­to esaurito: la verve dialettica di Marco Travaglio non si fer­ma. E prosegue su IDEA.

Direttore, a che punto siamo con la guerra in Ucraina?
«La Cina ha calato i suoi assi. Le carte sono rimaste coperte perché i cinesi prudentemente vogliono prima parlare con Zelenski, in autonomia dagli americani che non accettano nemmeno un “cessate il fuo­co”: quello che salverebbe un sacco di vite umane. E se gli americani stanno praticamente costringendo gli ucraini a continuare a farsi ammazzare pur di non dare un punto di vantaggio a favore della Cina, questo la dice lunga su come siamo messi e su come la propaganda occidentale ci abbia ac­cecato. Cioè siamo al punto che dobbiamo subire, senza protestare, il fatto che gli americani si oppongano alla cosa più auspicabile da quando è iniziato il conflitto».

Gli interessi economici dominano questo scenario?
«Se le potenze avessero voluto, non avrebbero mai fatto scoppiare questa guerra. Resto convinto che se gli Stati Uniti fossero ancora in mano a Trump, le cose sarebbero an­date diversamente. L’ex presidente è uomo concreto, un isolazionista che non spende ri­sorse per contenziosi lontani dall’interesse nazionale. Come è noto, di guerre non ne ha fatte mai e anzi, ne ha chiuse due, propiziando l’accordo con la Corea del Nord e poi con i talebani. Ha chiuso guerre decennali, mentre Biden soffia sul fuoco. Ricorderete che io, nei giorni precedenti l’invasione, scrivevo che gli americani continuavano a diffondere la fake news dell’invasione imminente: in realtà hanno fatto di tutto per spingere Biden alla guerra. Mentre Macron e Scholtz si dannavano l’anima per frenare l’invasione, gli americani annunciandola tutti i giorni, la stavano di fatto provocando. E da quando finalmente hanno ottenuto ciò che volevano, fanno di tutto perché la guerra duri il più a lungo possibile. Si pensava che l’obiettivo fosse fino alla fine dell’anno per consentire a Biden, impegnato contro un grande nemico esterno, di non perdere le elezioni di midterm, ma adesso che si è intestardito a ricandidarsi, dovrà far durare il conflitto un altro anno e mezzo per la nuova campagna elettorale, sulla pelle degli ucraini e degli europei».

Lei ha ricordato ciò che av­venne prima della guerra in Iraq, vent’anni fa.
«Anche lì ci fu fatto credere che l’attacco fosse inevitabile perché dovevamo difenderci dal principale alleato di Bin Laden che, secondo gli americani, era Saddam Hussein. Eppure i due, non solo non si conoscevano e si odiavano, ma si erano lanciati condanne a morte e fatwa reciproche. Del resto, Saddam era un nazionalista laico mentre Bin Laden un prodotto del fondamentalismo islamico di marca saudita, quindi due parrocchie opposte. Gli americani ci fecero credere che esistesse un link e aggiunsero prove sulle armi di distruzione di massa che non esistevano più da anni. Putin ha imparato la lezione».

E quindi chi sono gli “Scemi di guerra”?
«Quelli che credono alla propaganda, non certo chi la diffonde che è “furbo di guerra”. Quelli che ora dicono “beh, in fondo l’uranio impoverito…”. Ma quando lo usavano i russi era una vergogna, poi è diventato acqua fresca perché lo hanno utilizzato i nostri in Afgha­nistan e Iraq, come adesso che lo hanno annunciato i nostri presunti amici inglesi. I servi sciocchi possono anche aspirare a una nuova Hiroshima e dire che una bomba atomica in fondo è una passeggiata di salute, l’importante è che a sganciarla siano gli americani o gli inglesi e non i russi. Perché il nucleare è brutto solo quando lo minaccia Putin».

Con il governo Meloni come è cambiata la posizione del­l’Ita­lia?
«Il governo nuovo fa esattamente come quello vecchio. L’Italia ha votato Meloni perché lei è stata per dieci anni all’opposizione, ha fatto il rush finale passando dal 12% al 26% in un anno e mezzo grazie al governo Draghi: chi pensava che trattenendo il premier, la Meloni sarebbe stata neutralizzata, non aveva capito che proprio così avrebbe raddoppiato i voti. La vittoria delle destre è stata costruita da poteri che hanno utilizzato Salvini per rovesciare il Conte 1 e Renzi per rovesciare il Conte 2, neutralizzando la possibilità dell’unica alternativa a Meloni. Meglio il secondo, ma anche il primo ha fatto cose importanti: decreto dignità, reddito di cittadinanza, legge spazzacorrotti, riduzione dei parlamentari, vitalizi. Buttan­do via Conte, si è consegnata quell’esperienza alla damnatio memoriae, tant’è che oggi c’è gente che spudoratamente ne­ga i 209 miliardi di Pnrr o ne attribuisce il merito a Draghi – che non c’era ancora – cancellando l’unica alternativa popolare. Conte è da 4 anni ai primi due posti di popolarità come leader, il più duraturo degli ultimi 15 anni. Le­vandolo da Palaz­zo Chigi si è tolta la via alternativa a queste destre. I poteri for­ti hanno cercato, costruito e voluto questa maggioranza che ci governa. E che ci riporta indietro nel tempo, alle politiche dell’austerità e dell’atlantismo beota che di fat­to l’Italia non ha mai conosciuto se non con Berlusconi. Che però era amico di Bush come di Putin».

Che cosa succede con il reddito di dignità?
«Da luglio i percettori in età da lavoro non riceveranno più il contributo – come se non avere un lavoro fosse colpa loro – e poi dal prossimo anno non ci sarà più. Scoppierà un’altra bomba sociale e saremo come prima del 2019, quando in tutta Europa lo si distribuiva tranne in Italia e Grecia».

Che cosa pensa delle vigorose manifestazioni in Francia sul­le pensioni?
«Mi auguro che contagino anche gli italiani, con proteste serie e non solo con gli scioperi del venerdì pomeriggio per il weekend lungo».

Come sono i dati di vendita del suo libro? E quelli del suo spettacolo?
«Il libro ha già ampiamente superato le 20 mila copie. Per lo spettacolo, in dieci date c’è stato sempre il sold out. A me piace il fatto che ci sia un grande ritorno nei teatri in generale, vedo solo teatri pieni».

Che cosa le rimane da questa esperienza?
«È molto più interessante confrontarsi con le persone in presenza, soprattutto dopo due anni di remoto. Dal 2001 giro per convegni, incontri e dibattiti e dal 2007 per i monologhi teatrali. Ora devo un po’ diradare perché la direzione del giornale richiede presenze in redazione. Ma non rinuncio al contatto personale con i lettori, l’unico modo per realizzare un giornale che interessi e incontri le esigenze di tutti. Altrimenti facciamo giornali per giornalisti, uno dei grossi problemi della stampa italiana».

CHI È

Nato a Torino il 13 ottobre 1964, è giornalista, scrittore di saggi e opinionista televisivo (in questa veste ha raggiunto grande popolarità), dal 2015 direttore del giornale Il Fatto Quotidiano. Si occupa de sempre di cronaca giudiziaria e di attualità politica

COSA HA FATTO

Ha iniziato a scrivere per Il Giornale, passando poi con Montanelli a La Voce. Da qui è poi transitato a La Repubblica e poi a L’Unità prima di cominciare l’avventura con Il Fatto Quotidiano, da lui co-fondato a Roma nel 2009. Dal 2015 ne ha assunto la direzione

COSA FA

A teatro propone il suo monologo “I migliori danni della nostra vita”, attualmente in tour. Ed è presente in libreria con “Scemi di guerra. La tragedia dell’Ucraina, la farsa dell’Italia. Un paese pacifista preso in ostaggio dai nopax” (PaperFirst)