La sua voce risuona ancora nell’aria e il suo volto è rimasto popolare dopo il passaggio dalla Rai a Mediaset. E tutti associano alle trasmissioni sulla medicina il volto di Luciano Onder.
La passione giornalistica per l’argomento salute è sempre quella dei primi anni?
«È rimasta la stessa, determinata dalla curiosità per tutto ciò che mi circonda, dalla voglia di conoscere e di approfondire le situazioni psicologiche e fisiche dei pazienti, dall’attenzione per i problemi che magari qualcuno mi segnala perché ce l’ha in famiglia».
A un certo punto però è arrivato il Covid che ha cambiato molte cose.
«Ciò che è accaduto impone grande attenzione. Bisogna conoscere ciò che ci circonda, il nostro fisico, la psiche. Conoscere la scienza. Questa è la maggiore arma di difesa per la salute, ci permette di evitare le malattie, di mantenere una buona salute. L’ignoranza invece ci porta a sbattere contro il muro. Penso sempre alla prima grande campagna di informazione degli anni ’80, in tutti i paesi occidentali, per il controllo dell’Aids. Lo slogan era: “Se lo conosci lo eviti, se lo eviti non ti uccide». Sarebbe ancora molto pertinente per il Covid. Non muori se hai informazioni, se fai una diagnosi precoce e prevenzione. Vale per tante situazioni ma, a dire la verità, proprio per il Covid non è stato ancora attuato».
Oggi si parla molto di medicina circolare e della necessità di mettere in relazione gli esperti di ogni ambito.
«Gran parte delle malattie infettive nasce da una situazione circolare. La crisi del clima determina conseguenze anche sulla salute e lo vediamo sempre di più. A proposito dell’Aids, dovremmo partire da come si è formato, in quali paesi e per quali ragioni: per il dissesto ecologico ambientale, per la trasformazione dell’agricoltura, per tutti quei fattori che hanno favorito la circolazione del virus. Ci sono state situazioni fuori controllo tra certi animali che hanno portato il virus fuori dall’ambiente di origine e così ha iniziato a circolare nel mondo con rapidità. Più o meno come per il Covid».
Negli anni si è confrontato con tanti luminari: trova che il loro rapporto con i pazienti sia cambiato?
«Non direi. Penso ad esempio all’ematologo Franco Mandelli che ha scritto il libro “Curare è prendersi cura”. Proprio così: significa farsi carico del paziente e della malattia. Ogni buon medico deve sempre avere questa idea, anche quando ho cominciato negli anni ’80 era così».
Quindi c’è questa consapevolezza?
«Deve esserci, nei grandi luminari e nei medici di famiglia. Quanti medici durante il Covid hanno affiancato i malati nelle terapie intensive finendo a loro volta per ammalarsi? Non deve accadere, ma testimonia quanta preoccupazione, quanto amore c’è in ogni grande uomo che svolge questa professione».
Immagino che abbia dovuto aggiornare continuamente le sue competenze per svolgere il suo lavoro.
«Certamente, dico sempre che faccio il giornalista ma che sono anche un “mezzo medico”. Ci sono ancora tanti che mi scrivono chiedendo informazioni magari per un figlio o per un amico. E allora devo restare aggiornato per aiutare queste persone. Non per niente ho ricevuto anche una laurea honoris causa dall’Università di Parma. Un riconoscimento credo per la mia curiosità ma anche per l’amore che ci metto. Ancora oggi mi sento un divulgatore e forse un educatore, ma anche un po’ medico. Al servizio del cittadino. Per condividere quello che so e che ho capito della medicina».
C’è un episodio, nel rapporto con chi la segue, che può raccontare?
«Agli inizi ricevevo tantissime lettere (oggi non si scrive più su carta). Ricordo una delle prime da una persona che mi diceva di aver seguito una mia trasmissione in cui parlavo del melanoma che può mutare in qualcosa di pericoloso. Questo telespettatore mi disse che vedendo la tv, pensò che fosse il caso di far vedere al dermatologo un neo che corrispondeva alla descrizione che avevamo fatto: da lì, mi spiegò, si sottopose a un intervento che si rivelò fondamentale per la guarigione. “Lo devo alla sua trasmissione”, scrisse. Una bella emozione».
Ecco quella che si dice informazione di servizio.
«Anche oggi chi si occupa di medicina, in tv e sui giornali, rende un servizio importante. L’informazione in questo segmento è utile al cittadino, magari per favorire una diagnosi precoce, un’attività di prevenzione, per capire che ci si può rivolgere a un esperto e capire che per esempio una perdita di sangue può essere un campanello d’allarme di una patologia grave, da cui però si riesce a guarire. Se non è un servizio, diventa sensazionalismo e non serve».
Parliamo di trasmissioni di successo: è così?
«Un successo notevolissimo. L’argomento interessa. Non per niente tutti i quotidiani hanno un inserto salute con tante pagine, a volte forse anche troppe, ma sempre interessanti. Io da lettore mi appassiono».
Si può dire che lei abbia anticipato i tempi?
«Sì, ma oggi tutti hanno capito l’importanza di trattare questo argomento. La mia trasmissione “Medicina 33” è stata forse la prima in tv con una formula di servizio utile. Per dire questo: se abbiamo parlato di diverticoli e vi è venuto un dubbio, fatevi vedere, non aspettate».
Quale linguaggio si deve usare per comunicare una materia tanto complessa?
«Il più semplice, quello corrente, nella lingua che conosciamo, un po’ da professore a scuola, senza le espressioni gergali della medicina. Il malato è malato, prima di essere paziente. Ora c’è questa campagna contro l’uso eccessivo dell’inglese, che è opportuno in tanti casi, ma a volte anch’io devo prendere il vocabolario. Molto spesso quelle scorciatoie non sono necessarie».
Le persone la riconoscono? Che cosa le dicono?
«Accade ancora e mi colpisce. La cosa che mi fa più piacere è quando ai congressi molti giovani medici (che poi sono i 40enni) mi dicono: “guardi, io ho fatto il medico perché vedevo la sua trasmissione e mi sono incuriosito appassionandomi alla medicina”. È il complimento migliore che possa ricevere, significa che in qualche modo ho contribuito a far fare la scelta giusta. Torniamo al concetto di servizio utile».
Chiudiamo con il territorio: è mai stato nel Cuneese?
«Molte volte a casa del mio amico e collega Nanni Lisa. Posti bellissimi e verdissimi».
CHI È
È nato in provincia di Belluno l’11 luglio 1943, oggi vive a Roma. Si è affermato come volto
televisivo grazie alla trasmissione “Medicina 33”, rubrica medico-alimentare del Tg2 nel corso della quale ha affrontato ogni problema di salute al cospetto di grandi esperti
COSA HA FATTO
Ha continuato a occuparsi di medicina anche dopo il 2014, quando ha lasciato la Rai per passare a Mediaset e gestire “Tg5 Salute”. Il 31 marzo 2014 l’Università di Parma gli ha conferito la laurea honoris causa in medicina e chirurgia
COSA FA
Su Canale 5 si è occupato, oltre che di “Tg5 Salute” anche di “La salute prima di tutto”, all’interno del programma “Mattino Cinque”. Conduce anche il programma specializzato “La casa della salute” sul canale San Marino Rt ancora una volta intervistando i migliori specialisti di ogni branca della medicina, con consigli utili e grande attenzione alla prevenzione