Sapevate che quasi ogni paese della nostra provincia ha uno stranom? È una tradizione che mi ha sempre divertito tanto. Per esempio, io arrivo da Ceva e noi cebani siamo conosciuti come gli “Ebreu”, mentre gli abitanti di Piozzo sono i “Lapacuse” e di qui la geniale e fortunata Fiera della Zucca. Quelli di Farigliano sono i “Gatt Russ” e ovviamente tutti sanno che i monregalesi sono i “Babi Cocc”, ovvero i rospi cotti, mentre a Carrù, pare in antitesi, abitano i “Babi Cru”, cioè i Rospi crudi. Se si va a indagare, una ragione storica esiste per ognuno di questi simpatici nomignoli e così facendo si arriva a capire che i carrucesi non assomigliano, e aggiungo per fortuna, per niente a un manipolo di rospi crudi, ma il nome si deve a un modo di dire. «Cui ‘d Carù en temp ed carestia, se sfamu cui babi cru». Quelli di Carrù in tempo di carestia si sfamano con i rospi crudi.
Che, lì per lì, non sembra poi un gran biglietto da visita benché quando si ha fame quasi tutto sia concesso. Ma poi, scavando un po’, grazie a un amico, ho scoperto che i Babi Cru non sono rospi, ma bensì delle pere. I “Pruss Babi” sono una varietà antica, si direbbe adesso, che, dopo aver svolto con onore il loro compito di salvare i carrucesi dalla carestia, non sono stati ritenuti sufficientemente produttivi per trasformarsi in coltivazioni intensive e remunerative. Conclusione: i nostri “Babi Cru” sono stati abbandonati a loro stessi e dimenticati.
La varietà si sarebbe estinta se non fosse stato per l’appassionato intervento di Giuseppe Romanisio, di professione commercialista che, insieme alla moglie Ivana Ghigo ha mosso mari e monti pur di riuscire a trovarne ancora una pianta e in questo modo salvare un frutto che ha fatto la storia della cittadina. Ci sono voluti anni e impegno, ricerche in lungo e in largo, dal Museo della Frutta a Torino, al Campo Sperimentale della Regione Piemonte ad Albugnano fino a conoscere i vivaisti più appassionati, ma alla fine il “Pruss Babi” è tornato a fiorire e fruttificare in un delizioso giardino nel centro di Carrù.
Quando dico che i “Babi cru” hanno in passato assolto con onore al loro compito di salvare i carrucesi dalla carestia è perché così e stato per davvero. Ogni giardino, ogni appezzamento di terra fino a qualche decennio fa ospitava le piante che regalavano frutti che nella forma e nel colore ricordavano i rospi da cui il curioso nome. La pasta bianca dalla consistenza molto fine del frutto era tale che potesse resistere a lungo fino a venire essiccato, sbriciolato per ottenere una farina con cui si produceva il pane.
Quando a dicembre dello scorso anno Giuseppe Romanisio ha presentato alla stampa e ai carrucesi i primi frutti, le richieste di avere un “piantino” sono state tantissime, segno che per fortuna l’attenzione per una varietà antica che cresce lentamente e regala pere uniche è molta. Dal canto nostro non possiamo che ringraziare chi, come Romanisio, non si rassegna all’omologazione dei gusti e delle varietà, portando fino a noi un pezzo di un passato che non deve essere dimenticato.
A cura di Paola Gula