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L’opinione di Damien Marie

«Studiare musica o ascoltarla con attenzione può prevenire alcuni effetti di invecchiamento sulla cosiddetta “memoria di lavoro” del cervello»

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IL FATTO
Quali attività quotidiane possono avere un effetto positivo sulla nostra salute e, in particolare, su quella del nostro cervello? Ecco che cosa ha scoperto un’equipe di ricercatori

Che cos’è la “memoria di lavoro” (tradotto dall’inglese “working memory”)? È una forma particolare di memoria a breve termine che mantiene una quantità limitata di informazioni in un tempo limitato. Tecnicamente l’informazione presente nella memoria di lavoro consente l’utilizzo dell’informazione stessa nell’immediato, quindi, in particolare, quando lavoriamo, ascoltiamo o dobbiamo interagire in un discorso. È quella memoria che si usa ad esempio per tenere a mente per intero un numero di telefono tanto da poterlo trascrivere, oppure che consente di tradurre una frase in un’altra lingua.
Si tratta di una delle funzioni cognitive sottoposte a maggior sofferenza con il passare degli anni, come primo effetto dell’invecchiamento. Ma c’è una novità a questo proposito, una specie di “ancora di salvezza” che arriva dalla musica.
Uno studio condotto dall’Università di Ginevra ha infatti dimostrato che l’apprendimento o l’ascolto attivo della musica può essere un fattore determinante per prevenire questo declino. La ricerca si è concentrata su 132 pensionati di età compresa tra i 62 e i 78 anni, divisi in due gruppi per un periodo di 12 mesi: a un gruppo è stato offerto un corso di istruzione di pianoforte, all’altro un approfondimento di cultura musicale con relativi ascolti. Lo scopo era quello di esaminare i benefici della pratica musicale sulle abilità che di solito diminuiscono con il normale invecchiamento. Quindi, come detto, l’attenzione degli studiosi si è concentrata sulla memoria di lavoro e le conseguenze su funzioni esecutive, ascolto selettivo e capacità motorie, benessere, così come sulla morfologia e la funzione del cervello. La condizione richiesta ai volontari era che non avessero mai, in precedenza, partecipato a lezioni di musica per più di sei mesi.
«Volevamo persone i cui cervelli non mostrassero traccia di plasticità dovuta a precedenti apprendimenti musicali. È anche vero che pure una breve esperienza conoscitiva può lasciare un segno a livello cerebrale», ha spiegato Damien Marie, autore dello studio e ricercatore associato al Cibm Center dell’Università ginevrina.
I risultati sono stati incoraggianti. Dopo sei mesi, sono stati rilevati effetti in comune: un incremento di materia grigia in quattro aree del cervello attive nella memoria di lavoro. Che è risultata quindi in aumento del 6%. «Non possiamo forse concludere che la terapia musicale sia in grado di ringiovanire il cervello, ma può prevenire l’invecchiamento di alcune aree specifiche», ha spiegato Marie. «L’ascolto e la pratica di attività musicali migliorano la qualità della materia grigia. Possono essere le basi per una nuova politica di prevenzione utile per prevenire l’invecchiamento. Il prossimo passo sarà capire come utilizzare queste informazioni per incidere anche sulle problematiche relative alla demenza».

BaNNER
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