IL FATTO
Le inondazioni che hanno colpito l’emilia romagna confermano una volta di più l’urgenza di realizzare nuove infrastrutture per fronteggiare il cambiamento climatico
Nello Musumeci, ministro per la Protezione Civile, ha detto quello che un po’ tutti in questi giorni abbiamo pensato: «Non dobbiamo più chiederci “se accadrà” di nuovo, ma “quando accadrà”».
Perché le tremende inondazioni che hanno sommerso e sgretolato quasi per intero il territorio della Romagna e dell’Emilia impongono riflessioni e soprattutto azioni non più rimandabili. «Il cambiamento climatico ha raggiunto anche l’Italia – ha affermato Musumeci – e questo processo di tropicalizzazione ci ha abituati, o ci abituerà, a lunghissimi periodi di siccità e brevissimi periodi di intensa pioggia. I risultati sono sotto gli occhi di tutti». Un dramma che ha causato la tragedia di morti, dispersi e sfollati, lasciando abitazioni senza luce (cinquantamila utenti sono rimasti senza energia elettrica) e difficoltà di approvvigionamento di cibi e bevande. «Serve un approccio nuovo dal punto di vista del sistema idraulico su tutto il territorio nazionale – ha detto Musumeci -. Quello che è accaduto in Emilia Romagna, l’avevamo già visto a Ischia (l’alluvione del novembre 2022) e potrebbe accadere in tutte le altre zone del Paese».
Musumeci fa notare l’evidenza dei dati: «La media dell’acqua piovana è di 200 millimetri in 36 ore, mentre in alcune zone ha raggiunto i 500 millimetri nelle province più colpite ovvero Forlì-Cesena e Ravenna». Il ministro della Protezione Civile ha fatto anche riferimento alla piovosità media che in un anno cade in quelle zone, circa mille millimetri, un numero che fa comprendere la portata delle precipitazioni che si sono verificate in poche ore. E allora: «Serve un approccio ingegneristico diverso: se in un centro abitato abbiamo immaginato una rete di distribuzione di acque piovane capace di assorbire mille millimetri in 12 mesi, dobbiamo pensare a un sistema di raccolta d’acqua che dovrà assorbire 500 millimetri in 48 ore».
Bisogna immaginare al più presto e quindi realizzare una serie di infrastrutture che devono diventare realtà sfruttando anche i finanziamenti europei di cui tanto si è discusso fin qui. L’ex presidente della Sicilia, ora responsabile anche delle politiche per il Mare, è stato chiaro: «Nelle agende di tutti i governi, negli ultimi 80 anni, la fragilità del nostro territorio non è mai stato un tema davvero prioritario». E ancora: «C’è un dato caratteriale tipicamente italiano: noi proviamo a commuoverci di fronte alle tragedie, poi però dimentichiamo e non impariamo la lezione. Qui serve un cambio di approccio, immediato». Il programma è delineato: «Serviranno decine di nuove dighe statali e regionali: sono 40 anni che non si fanno e svolgono una funzione essenziale. Poi penso alla realizzazione di bacini, ma anche di piccoli invasi aziendali col concorso delle Regioni, a beneficio degli imprenditori agricoli, come abbiamo fatto in Sicilia. Inoltre, bisogna riqualificare le reti di distribuzione urbane per evitare perdite, che in alcuni casi sono anche del 50%».