“Le memorie di Adriano G.” è una biografia che racconta la vita rossonera di Galliani: venticinque anni ricchi di successi da amministratore delegato del Milan, ricostruiti attraverso momenti intensi d’emozione e commozione, «non un volume di storia, ma un canzoniere d’amore».
Memorie interessantissime, tuttavia parziali, perché Adriano Galliani di vite ne ha avute un’infinità: prima e dopo il Milan ha ricoperto ruoli dirigenziali al Monza, condotto un anno fa in Serie A per la prima volta nella storia, è stato dipendente comunale, imprenditore balneare, proprietario di un’azienda elettronica specializzata in apparecchiature per la ricezione di segnali televisivi, presidente della Lega calcio, amministratore delegato di Mediaset, presidente delle società immobiliari del grippo Fininvest, senatore. E tranne che in municipio e nello stabilimento sulla spiaggia di Vieste, esperienze per altro effimere, sempre al fianco di Silvio Berlusconi.
Lo conobbe per lavoro, contattato per occuparsi dell’installazione di ripetitori in grado di diffondere un canale nazionale, rispose che per legge era possibile possederne solo uno regionale e si sentì replicare: «Lei faccia il tecnico e mi dica se la sua azienda può sostenere il mio progetto». Accettò e cominciò a girare l’Italia per acquistare terreni dove montare gli impianti, un tour attraverso quattromila comuni per porre le basi della prima emittente commerciale. Non si è più separato dal Cavaliere, insieme hanno cambiato la televisione e il calcio, il Milan della leggenda è stato infatti un laboratorio innovativo, dallo spettacolo alla rosa ampia, il management intrecciato al romanticismo. Visionari. E coraggiosi. Scelsero Arrigo Sacchi, che non aveva mai allenato in Serie A, intercettandolo per strada per strapparlo alla Fiorentina, e fu la prima di una serie di intuizioni ascritte alla coppia ma spesso solo vidimate dal Presidente. Che si fidava e si fida di Adriano, e che non aveva e non ha segreti per lui: Galliani sapeva e sa leggergli dentro, come racconta sorridendo riconosce i no che son sì e i sì che sono no. Eppure, non riesce a dargli del tu. È legatissimo ma rimane un passo dietro, lo definisce “dolcissimo” e spiega di aver imparato da lui mille cose, ne indica l’umiltà come caratteristica precipua e non si capacita di come possa esserne stata da taluni delineata un’immagine con tratti negativi.
Lungo il suo cammino, si delinea una galleria di volti, molte figurine di calcio e copertine di spettacolo, ed è bello ascoltare come le racconta senza nulla nascondere: sconfitte d’amore e liti furiose, equivoci e imbarazzi, impuntature epiche per ottenere uno scopo o tagliare un traguardo. Adriano che viene lasciato dalla giornalista Rai Manuela Moreno, Adriano che urla con Cassano, Adriano guardato con malizia dal portiere dell’albergo in cui, per evitare paparazzi, dà appuntamento a un giovane Ancelotti, Adriano che non si sposta finché Gattuso non cambia idea sull’addio al Milan. Lucido negli affari però passionale, determinato eppure sensibilissimo: talmente coinvolto da non riuscire a seguire per intero le partite e rifugiarsi in Duomo ad aspettare e così tenero da sperare nell’aldilà per poter riabbracciare la mamma morta nel ‘59, quando aveva solo 14 anni.