Una bella sorpresa per il Centro Ricci “La Ninna” di Novello: Monge, l’azienda di pet-food più conosciuta d’Italia, ha donato un grande quantitativo di crocchette per il sostegno annuale dei nostri ricci!
L’azienda, sita a Monasterolo di Savigliano, è attiva sin dal 1963 ed è meritoria di grande stima per la qualità dei prodotti, l’impegno profuso nella ricerca cruelty-free e nella salvaguardia ambientale e della biodiversità, attraverso i progetti in cui si impegna, come quello in collaborazione con la Wildlife Initiative per la tutela del Gatto di Pallas.
Augurandoci che questo sia l’inizio di una collaborazione continuativa anche sul fronte dell’impegno conservazionistico, troviamo sia doveroso esprimere tutta la nostra gratitudine a questa generosa azienda!
I ricci sono animali considerati sentinella dello stato di salute di un ecosistema, in quanto a stretto contatto con il suolo, territoriali e insettivori. Il rapido declino di questa specie che, nella sua forma attuale, vive sul pianeta da circa 15 milioni di anni è sintomatico del grado di devastazione che la razza umana sta causando al pianeta. I ricci hanno subìto un calo numerico di ben il 70% in Europa, in soli 20 anni. I dati rilevati in Inghilterra sono ancora più impressionanti; secondo una stima fatta dagli anni settanta ad oggi, gli esemplari presenti sul territorio sarebbero scesi da 30 milioni a meno di ottocentomila.
A questo proposito, Massimo Vacchetta, il Medico Veterinario che dirige il Centro Ricci La Ninna, dichiara:
“Se non faremo nulla per fermare il declino di questa specie, i ricci si estingueranno in 10-20 anni. Se sono ad un passo dall’estinzione animali così comuni, i prossimi saremo noi, perché siamo – a tutti gli effetti – ad un passo dalla sesta estinzione di massa. Il nostro dovere è proteggerli, perché dalla salute dei ricci dipende anche la nostra sopravvivenza”.
Per documentare i numeri di questa emergenza, il Centro Ricci di Novello (Cuneo) ha avviato una collaborazione con il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino (DSV) per indagare le cause di ricovero e morte dei ricci. La ricerca presto includerà altre università italiane (Teramo, Bari, Milano) ed europee.
Il progetto, coordinato dalla professoressa Maria Teresa Capucchio, cercherà di mettere a punto i parametri del profilo metabolico ematico di questi piccoli mammiferi e indagherà gli agenti infettivi e parassitari che possono essere veicolati e potenzialmente pericolosi per i ricci e l’ambiente. Si cercherà, inoltre, di capire se, a seguito di periodi di ospedalizzazione di almeno 10-15 giorni, i ricci possono sviluppare resistenza agli antibiotici o modificare il proprio microbiota intestinale.
Saranno presi in considerazione i ricci ricoverati e deceduti presso il Centro Animali Non Convenzionali (C.A.N.C.) del DSV e quelli del Centro Recupero Ricci “La Ninna”.
I dati preliminari sinora disponibili sono stati ottenuti esaminando i soggetti deceduti presso il C.A.N.C. da gennaio 2018 a luglio 2022 e quelli deceduti nel Centro “La Ninna” nel 2022. Un totale di 160 ricci è stato sinora incluso nello studio.
I risultati (consultabili al fondo del comunicato stampa*) sono in accordo con la letteratura, che considera i traumi, la debilitazione e le malattie infettive come le principali ragioni di ricovero. I traumi rappresentano una delle cause più comuni di mortalità nei ricci e nella maggior parte dei casi sono legati all’uomo. Le malattie infettive (batteriche o parassitarie) che colpiscono principalmente i polmoni o il tratto gastrointestinale sono un’altra importante causa di morte. Sono stati rilevati frequentemente vermi polmonari, ma sono necessari ulteriori studi al fine di comprendere l’ecobiologia di questi parassiti e la patogenesi delle loro lesioni. L’aumento della presenza di malattie parassitarie potrebbe dipendere dal cambiamento climatico e/o dalla distruzione dell’habitat dei ricci da parte dell’uomo: la mancanza delle prede di cui solitamente si ciba il riccio, spinge questa specie a nutrirsi di prede inconsuete, spesso ospiti di parassiti potenzialmente letali.
Sono in corso indagini istologiche e microbiologiche per verificare il potenziale ruolo degli agenti infettivi nel causare la mortalità dei ricci e nel contribuire al declino della loro popolazione.
“Credo che la collaborazione tra i due centri permetterà di conoscere le cause di morte e malattia dei ricci del Piemonte al fine di poter attuare misure di profilassi adeguate. È importante lavorare ora per evitare che questi piccoli mammiferi essenziali nell’ecosistema, possano arrivare all’estinzione con conseguenze molto gravi per l’ambiente che ci circonda. Conoscere meglio gli agenti infettivi e/o infestivi eventualmente veicolati è altrettanto essenziale per monitorare la circolazione degli agenti biologici nell’ambiente ed i potenziali rischi per le altre specie viventi in un’ottica One Health! È inoltre molto importante valutare l’impatto dell’ospedalizzazione sul microbiota intestinale e sullo sviluppo di antibioticoresistenze per capire quanto l’antropizzazione possa determinarne modifiche/insorgenze potenzialmente dannose per la salute animale e l’equilibrio dell’ecosistema” (Dott.sa Maria Teresa Capucchio).
Il prossimo passo sarà quello di trasformare il Centro Ricci “La Ninna” nel primo ospedale e Centro di Ricerca totalmente dedicato a questi piccoli mammiferi. Per aiutarci in questo ambizioso progetto, puoi fare una donazione libera o donarci il 5×1000 (le modalità descritte al fondo del comunicato stampa).
Massimo Vacchetta è il Medico Veterinario che dirige il Centro Ricci La Ninna, che oggi ospita circa 200 ricci, alcuni resi disabili dall’attività dell’uomo (investimenti, ferite da decespugliatori e dai tosaerba robotizzati), altri recuperati in condizioni difficili a causa delle conseguenze del cambiamento climatico (impossibilità di andare in letargo, mancanza di prede per l’utilizzo massiccio di prodotti chimici in agricoltura, nei nostri orti e nei giardini).
Massimo ha descritto la sua esperienza nel libro best-seller internazionale “25 grammi di felicità”, che è stato già tradotto in 14 lingue, e in altri tre libri: “Cuore di riccio” (Sperling & Kupfer, 2019), “Ninna, il piccolo riccio con un grande cuore” (Piemme, 2019), “Raccontami qualcosa di bello” (Sperling & Kupfer, 2021). Del primo volume pubblicato, sono già stati presi accordi per una sua trasposizione in film d’animazione.
Come potete aiutarci:
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*I NUMERI DELLO STUDIO IN CORSO SULLA MORTALITÀ DEI RICCI
Dei 160 ricci esaminati, 85 erano maschi (53,1%) e 75 femmine (46,9%). La maggior parte dei ricci era adulta (n= 79, 49,4%) o giovane (n=78, 48,7%), mentre solo l’1,9% era neonato (n=3). Inoltre, la metà dei ricci deceduti è stata ricoverata in estate (n=60, 37,5%) e in primavera (n=57, 35,6%), mentre pochi animali sono stati raccolti in inverno (n=5, 3,1%) e in autunno (n=38, 23,8%). I traumi (n=63, 39,4%) e la debolezza (n=61, 38,1%) sono state le principali cause di ricovero, seguite da ricoveri casuali di ricci trovati in luoghi inappropriati e portati ai centri dai cittadini (n=27, 16,9%) e da sintomi respiratori/gastrointestinali (n=9, 5,6%). Secondo i risultati della necroscopia, le lesioni traumatiche (n=56, 35,0%) e le malattie infettive/parassitarie (n=47, 29,4%) sono state le principali cause di morte. Meno frequentemente, i ricci sono morti per inedia (n=15, 9,4%) e predazione (n=9, 5,6%). Macroscopicamente, i polmoni sono stati gli organi più colpiti (n=117, 73,1%), principalmente con broncopolmonite catarrale, purulenta o granulomatosa (n=102, 87,2%). Tra i ricci affetti da broncopolmonite, 34 (29,0%) presentavano nematodi polmonari. Sono state registrate lesioni anche nell’intestino (n=29, 18,1%), nello stomaco (n=27, 16,9%), nella milza (n=22, 13,7%), nel fegato (n=18, 11,2%) e nel cervello (n=14, 8,75%). In particolare, le lesioni principali registrate nell’intestino colpito sono state l’enterite catarrale segmentaria (n=24, 82,7%) e l’enterite emorragica (n=5, 17,3%), mentre la gastrite catarrale (n=18, 66,7%) e quella emorragica (n=5, 18,5%) sono state registrate principalmente nello stomaco. Le milze hanno mostrato splenomegalia (n=12, 54,5%) e decolorazione (n=10, 45,5%); la lipidosi è stata la principale lesione osservata nel fegato (n=9, 50%). Nel cervello, le lesioni traumatiche come ematomi subdurali (n=7, 50,0%), emorragie (n=2, 14,3%) e iperemia (n=5, 35,7%) erano i principali reperti. I traumi cerebrali erano generalmente associati ad altre lesioni traumatiche come fratture dell’arto anteriore (n=1, 0,6%), dell’arto posteriore (n=6, 3,7%), del cranio (n=2, 1,2%) o del bacino (n=1, 0,6%), amputazioni (n=6, 3,7%), ematomi cutanei (n=27, 16,9%) e lacerazioni/eruzioni (n=13, 8,1%) o rottura del fegato (n=2, 1,2%).
COME RICONOSCERE UN RICCIO IN DIFFICOLTA’
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Un riccio che pesa indicativamente sotto i 300 grammi a ottobre, 400 grammi a novembre e 500 grammi a dicembre deve essere raccolto e portato a un centro di recupero
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Un riccio trovato a vagare di giorno è sempre da recuperare e soccorrere (è un animale notturno e se si trova in giro nelle ore diurne è perché non sta bene)
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I ricci trovati a bordo strada, se feriti (controllare se si appallottola, se perde sangue dal naso o ha perdite ematiche sul corpo) sono da portare immediatamente a un centro di recupero: hanno bisogno di un soccorso immediato
IL RUOLO DEL RISCALDAMENTO GLOBALE E IL DRAMMATICO CALO DELLA SPECIE
Secondo i dati dell’organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) il 2021 è stato uno dei sette anni più caldi mai registrati ed il settimo anno consecutivo (2015-2021) in cui la temperatura globale è stata mediamente superiore di oltre 1 grado centigrado in confronto ai livelli preindustriali.
La scienza prevede che, se andremo avanti di questo passo, nell’arco di questo secolo le temperature potrebbero aumentare di 4-6 gradi causando una tremenda devastazione dell’ambiente in cui viviamo. Per far capire l’entità del problema, basti pensare che i cambiamenti che stiamo vivendo ora sono la conseguenza dell’aumento di un solo grado in 30 anni. I più giovani non hanno conosciuto gli inverni di una quarantina di anni fa: freddi e rigidi, con precipitazioni nevose copiose, candelotti di ghiaccio ad ornare il bordo dei tetti e temperature che scendevano spesso abbondantemente sotto lo zero. Questo era un bene per noi e per l’agricoltura, perché il manto nevoso proteggeva la vegetazione e le colture dal freddo e le manteneva umide e sane.