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Fabrizio Garbarino, premio Lavoro&Ambiente «In Roccaverano dop c’è una storia antica»

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Nei mille gusti del Roc­­caverano Dop c’è tutta l’essenza del territorio di Langa. E ci sono pure i tratti distintivi dei suoi abitanti: dalla tenacia alla capacità di osare e prendersi cura. Di sé stes­­si, degli altri, degli animali e dell’ambiente. È così che gli organizzatori del Pre­mio Ancalau, nella festa del 18 giugno a Bosia, consegneranno il riconoscimento “La­vo­ro&Am­biente” proprio a chi custodisce il sapere di questo formaggio, l’omonimo Con­­­sorzio di Tu­tela presieduto da Fabrizio Garbarino.
Presidente Garbarino, contento del premio?
«I premi fanno sempre piacere. Ma in questo caso ancora di più».
Perché?
«Il Roccaverano è molto legato al territorio, anzi, di più, ne è espressione. Ed essere “profeti in patria” è gratificante».
Che significato ha il riconoscimento?
«È il segno che il territorio si è accorto e apprezza il nostro lavoro, la nostra attività quotidiana. È il riconoscimento alla dedizione che mettiamo ogni giorno per cercare di produrre un cibo di qualità, ben riconoscibile, capace di raccontare la sua storia e quella del territorio in cui nasce e viene prodotto».
Le sue origini sono antichissime, ne parlava già Plinio…
«Nel Roccaverano, oltre al gusto, c’è un racconto che parla di mille contaminazioni e commistioni. La ricetta dei nostri formaggi si perde nella notte dei tempi».
Qualche segreto?
«È un formaggio semplice, mol­to semplice, e non ha bi­sogno di tecnologia. Per questo lo riuscivano a produrre già i nostri avi».
Cosa ha fatto la differenza?
«Oltre all’abilità dell’uomo, le capre. Le han­no portate i Sa­raceni, durante le loro terribili invasioni. Poi sono diventate razze autoctone».
E l’ambiente circostante?
«È importante tanto quanto gli animali, dai quali, peraltro, viene modellato. Caratterizza il gusto, crea sfumature, perché l’erba che cresce nei fondovalle è diversa da quella che si trova sui crinali».
Soffia pure il vento dalle vostre parti…
«Anche il vento, specie il “marino”, aiuta a rendere uni­co questo formaggio. Ab­bia­mo la fortuna di essere a ca­vallo tra la zona climatica me­diterranea e quella continentale. Ecco un’altra com­mi­­stione, tra il microclima della Langa astigiana e quello del­l’Alto Monferrato».
In che misura incide l’uomo?
«La parola chiave è “cura”. I casari e le casare del Roc­ca­verano, oltre a creare un rapporto speciale con le loro capre, che accudiscono ininterrottamente, si prendono cura dei formaggi come se fossero degli esseri viventi. Ogni giorno, unitamente alla mungitura, si occupano, tra le tante cose, della trasformazione e della stagionatura. Cu­rano le for­me di Roc­ca­ve­rano con la stes­sa premura che si riserva alle altre persone. A dire il vero, in effetti, questi formaggi vivono…».
Cioè?
«Il nostro formaggio prevede una lavorazione del latte cru­do a 20 gradi, cosa che garantisce la sopravvivenza di tutta la flora batterica originaria. Resta vivo dalla mammella della capra a quando viene gustato».
Parliamo allora del gusto.
«Il Roccaverano è prodotto con la tecnica lattica, tramite una coagulazione che avviene con un’acidità molto alta, si­mile a quella dello yogurt. An­che in questo sen­so, è un unicum in Italia: non esistono altre Dop con questa tipologia di produzione. Ciò, e vengo alla sua domanda, si riflette sul gusto: in ogni Roc­ca­ve­rano ci sono altri mil­le for­maggi, altri mille gusti».
Ce ne descriva qualcuno.
«Appena estratto dalle forme, è un formaggio solido con note molto acidule, floreali; poi, in breve tempo, evolve e già dopo due mesi lo si può trovare durissimo e piccantissimo, perfetto da grattugiare. In bocca si scioglie come una crema, lasciando un re­tro­gusto che appaga a lungo. Così può essere facilmente associato ad altri tipi di alimenti, come salse, creme, mie­li, e a moltissimi vini».
Insomma, le opportunità di va­lorizzazione sono molte?
«La versatilità del prodotto è effettivamente incredibile…».
Ma?
«Per valorizzarlo al meglio è fon­damentale la formazione. Sia da parte di chi lo acquista che da chi lo distribuisce».
Formazione?
«Formazione alla consapevolezza. Essere cioè consapevoli del tanto di unico che è racchiuso nel Roccaverano».
Come si crea questa consapevolezza?
«È proprio uno degli obiettivi del nostro Consorzio di Tu­tela e delle sedici aziende che ne fanno parte. E per questo ci impegniamo costantemente per far comprendere l’unicità del Roccaverano. Preser­viamo e tuteliamo la sua storia, le sue caratteristiche – certificate peraltro nel di­sci­pli­na­re -, guardando però sempre avanti».
Cosa vedete all’orizzonte?
«Tanta cura, come sempre, per i nostri formaggi. Ma an­che perfezionamenti, mi­glio­ramenti, anche perché in na­tura nulla è statico. Questo, però, senza mai allontanarci dalle tradizioni, dalle radici, dal­­la simbiosi con la natura».
Vede un bel futuro?
«Dovremo essere capaci a trasmettere una cultura e dei sa­peri che provengono da molto lontano, conciliandoli con i no­stri tempi e l’innovazione, ba­dando all’appeal generale del Roccaverano, così da coinvolgere pure le nuove generazioni. Vogliamo trovare giovani che pos­sano raccogliere il testimone. È il nostro modo per essere vivi, come lo è il Roccaverano».