«Siamo diventati tifosi dobbiamo riscoprire il pensiero critico»

La direttrice di LaPresse ha presentato a Cuneo il suo libro su Dior: «Grande personaggio e uomo fragile. A me le cadute hanno aiutato più del successo. La moda? Non esiste più, solo tendenze. Dirigere un’agenzia di stampa è massacrante e al tempo stesso entusiasmante: ti fa capire meglio la realtà»

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Ospite una settimana fa dell’As­so­cia­zione Ego Bianchi a Cuneo, ha presentato il suo libro “Dior, la magia di uno stile”, il secondo dedicato a un protagonista della moda dopo la precedente biografia di Vui­t­ton. IDEA ha colto l’occasione per confrontarsi con Alessia Lautone.
Come è nata l’idea di raccontare i personaggi della moda?
«Non sono mai stata una giornalista del settore, ma in un periodo complicato della mia vita in cui avevo perso il lavoro, mi hanno proposto di scrivere la biografia di Vuitton. Non conoscevo il personaggio e in un primo momento ho detto no. Poi ho visto la sua storia e mi è piaciuta tantissimo, la favola di un ragazzo che parte dalle montagne e arriva a Parigi dove co­mincia a lavorare come ap­prendista e poi diventa un per­sonaggio straordinario che con la sua valigeria, borse e bauli fa la storia di Francia. Mi ha appassionato, ho dato l’ok alla casa editrice quando avevo già scritto le prime cento pagine. Pensavo di non essere in gra­do di completare il libro, che avrei dovuto essere giornalista di moda per scrivere di quell’argomento. Invece mi sono accorta che, alla fine, scrivi un libro proprio perché hai quella curiosità in più mentre chi è troppo dentro al mestiere magari non lo farebbe. Per Vuitton avevo tempo, sono andata sui suoi luoghi cercando persone, poi è arrivata la pandemia e ho consultato solo documenti. A quel punto mi è stato chiesto di dirigere LaPresse dopo Adn­kronos, c’è stato il passaggio tra le due direzioni, e quando mi hanno proposto di scrivere Dior non potevo dire no. Mi sono buttata in questa avventura, è stato bello».
E che cosa ha scoperto?
«Che puoi essere anche un per­sonaggio che cambia la storia del mondo, pur senza sentirti così grande. Dior in privato manifestava molte in­sicurezze, aveva lacune personali che colmava con la sua immagine pubblica. Esisteva­no insomma due Dior e questo mi ha colpito perché è la storia di ognuno di noi, restiamo insicuri e fragili anche se diventiamo personaggi straordinari».
E al tempo stesso nei momenti difficili si trovano spesso svolte insperate: come è accaduto a lei?
«È così, scrivere quel libro mi ha appassionato e siccome la passione muove la mia vita – oltre al lavoro – da sempre, è il filo conduttore di tutto».
Di cosa avete parlato alla presentazione del libro?
«Del libro e del personaggio, di giornalismo e di vita: un po’ di tutto».
Anche a Cuneo ha trovato sullo sfondo le montagne, come quelle di Vuitton.
«La montagna mi piace tanto. Ho sempre amato il mare, ma invecchiando scopro di ap­prezzare sempre di più la solitudine della montagna, il confronto con la sua maestosità che aiuta a rimanere con i piedi per terra».
Com’è dirigere un’ agen­zia di stampa?
«È un bel lavoro perché puoi dare la notizia secca e pura senza infilarti in strane va­lu­tazioni, fai il me­stiere del giornalista con i piedi per terra, pensi ai fatti. Ma dirigere un’agenzia di stampa è anche massacrante: passiamo 2300 notizie al gior­no, sette giorni su sette, però abbiamo sempre notizie diverse sottomano. Questo aiuta a capire la realtà, a trovare stimoli spaziando dal co­stume alla politica, dall’economia agli esteri e ogni giorno è una bella scommessa».
Esiste un confronto con i so­cial?
«Esiste e questo avrebbe potuto far male alle agenzie che devono confrontarsi con l’immediatezza dei social, in realtà la notizia certificata è ancora più importante e lo abbiamo visto bene, le notizie vere arrivano dai giornalisti e per il resto girano tante fake news. Il ruolo dell’agenzia non è mai venuto meno, anzi si è rafforzato».
E il rapporto con i suoi giornalisti è costante?
«Abbiamo una chat e ci sentiamo continuamente. C’è un rapporto di stima e rispetto, devo molto a ognuno di loro, a chi si occupa dei video e del testuale. La cosa importante è lavorare in squadra per arrivare al gol. Il singolo può riuscirci una volta, ma poi non va da nessuna parte»
LaPresse oggi è una grande realtà, partita da Torino.
«È un’agenzia bellissima e dinamica, giovane e coraggiosa che ha puntato su video e radio quando gli altri ancora erano fermi al testo, ora ne è avvantaggiata. Ha potenzialità incredibili, ancora da sfruttare e devo dire che l’editore è sempre pronto a investire sul futuro».
Che visione ha della realtà politica in Italia?
«Trovo che sia un periodo difficile perché ci siamo abituati a tifare, non c’è più il pensiero critico. Anche nella nostra professione, figuriamoci in generale. Spaventa il fatto che ci sia un tifo per tutto. La gente vota e chi vince, governa. Si vedrà alla luce dei fatti, io non sono tifosa e cerco di valutare criticamente le cose che accadono. La vita è migliore se c’è un confronto sui temi e sulla realtà piuttosto che su idee preconcette».
Segnali incoraggianti ne vede?
«Il nostro è un grande paese che ce la fa sempre, ne sono sicura. E sarebbe normale vedere tutti spingere nella stessa direzione per un Paese felice e prospero, invece spesso non accade».
Viaggiando sul territorio cosa ha notato?
«Che la gente comune è più avanti della politica. Ci sono temi che per giorni tengono banco in tv, di cui la gente non ha alcun bisogno. Finché non torneremo a parlare con le persone sarà tutto molto complicato»
Come si è arrivati a questo distacco?
«Siamo tutti un po’ mitomani, ognuno pensa di essere chissà cosa e perde contatto con la realtà. In questo i social ci hanno devastato».
L’immagine comanda?
«Nemmeno la moda vera esiste più, solo tendenze che tutti seguono. Io uso i social per divertirmi, con i piedi per terra. Sono caduta tante volte e queste ca­dute mi hanno aiutato molto più del successo. Essere consapevole che la vita è altrove, salva».
Lei ha cominciato la carriera in tv.
«Sono passata dalla tv alle agenzie di stampa, il percorso inverso rispetto al solito. La tv permette di parlare alla gente, ma non quando ti senti protagonista a tutti i costi. E se un personaggio va via, cade il mondo. Un giornalista televisivo deve essere empatico, deve essere un tramite. In­vece non lo siamo più».

CHI È

Nata a Roma il 7 aprile 1966, è direttore responsabile dell’agenzia di stampa LaPresse.
Nei giorni scorsi è stata a Cuneo per il suo libro “Dior, la magia di uno stile” (edito da Diarkos), ospite dell’associazione culturale Ego Bianchi. Nella foto è con il direttore Fabrizio Quiriti Sabatini

COSA HA FATTO

Prima di LaPresse, ha diretto l’agenzia Adnkronos dopo una lunga parentesi dedicata alla televisione, con collaborazioni in Rai e Mediaset, collaborando anche al programma “Novecento” con Pippo Baudo. Ha pubblicato un altro libro dedicato a un grande della moda internazionale come Vuitton

COSA FA

Nell’intervista racconta che cosa significhi dirigere un’agenzia di stampa: seguire il flusso delle notizie praticamente senza soste, sette giorni su sette. Ma intanto ha approfondito la conoscenza della moda per scrivere i suoi libri dedicati ai grandi personaggi del settore, scoprendo storie appassionanti e inedite che hanno messo in luce le debolezze oltre che il talento dei protagonisti