«Amo questa terra per la sua identità che non va smarrita»

Con “Il Provinciale” racconta le eccellenze italiane: «La creatività ha fatto delle nocciole, che nessuno voleva, un prodotto internazionale. Ma è figlia della “malora” che aguzza l’ingegno. Ora stiamo perdendo il senso di comunità e il messaggio delle generazioni che hanno trasformato quella povertà in ricchezza»

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Prima del dibattito sul tema “Una buo­na differenziata per un ottimo riciclo”, nella sala convegni di Palazzo Banca d’Alba abbiamo incontrato uno degli ospiti più attesi: il giornalista Federico Quaran­ta. Da anni racconta sui canali Rai, dalla radio alla tv, la bellezza del territorio italiano e le trame della tradizione che lo percorrono. Da anni lui stesso sottolinea il legame della sua famiglia con questa terra in particolare.

Che cosa ritrova, di magico, quando torna nelle Langhe?
«Il cimitero di San Barto­lomeo».

Il cimitero?
«Vi spiego. San Bartolomeo è un paesino che si trova nel comune di Cherasco, ma più vicino a La Morra e ad Alba che a Cherasco. Lo adoro perché da bambino giocavo in quella vecchia cascina di mio nonno e quel piccolissimo paese a ri­dosso della collina che lo dominava a mezza costa, da dove scorgevo il campanile della chiesa, mi dava un senso di grande protezione e pace. Lì è seppellito mio nonno, come anche mio padre, mia nonna e mio cugino ed è lì che sarò seppellito anch’io. Quella sarà la porta per un altro viaggio, spero della pace. E spero in vita di essere abbastanza concreto e meritevole per accedere a quella porta dove ci sono i miei avi».

Il cimitero come luogo in cui si ritrovano storie e persone?
«Sui cimiteri delle Langhe ci sarebbero storie infinite da raccontare, visto il tenore delle persone che ospitano. Mio nonno fu un partigiano della Brigata Bra, rientrò dalla campagna di Russia guidando una jeep finché c’era benzina, poi proseguendo a piedi. Qui ha fatto il partigiano per difendere il bene più puro, per la libertà delle nuove generazioni. Quella stessa libertà a cui oggi attribuiamo un peso scontato, mentre ci vuole un niente per accorgersi di essere finiti in un regime che ci può soverchiare: un po’ come quando hai una compagna e ti senti sicuro del suo amore, lì commetti l’errore fatale…».

Che cosa significa avere radici nelle Langhe?
«La gente delle Langhe è la mia gente. Parla poco, sorride poco, lavora tanto. Il langhetto non è un istrione o un egocentrico, non mostra quello che ha, è concreto. Il miracolo del passaggio dalla “malora” alla fortuna lo hanno fatto uomini straordinari che dal niente hanno avuto tutto puntando esclusivamente sulla loro forza. Persone di terra, di sostanza. Questa identità profonda nata da quella difficoltà di vivere, ha creato gente perbene. Io ho trascorso qui molti anni dell’infanzia e quando torno riconosco le mie radici. Passando per Alba ho visto due bottegai davanti al loro negozio, mi hanno salutato in piemontèis, la nostra lingua, con un sorriso. Persone così. La Langa però rischia di essere depauperata di questi valori che devono essere presidiati. Se questa terra perde la sua vocazione e la sua identità, diventa una terra come altre».

Da tutto ciò deriva anche la creatività che qui si esprime in varie forme?
«Noi attribuiamo alla creatività una definizione umana, ma non è così. La creatività è della Natura, che non a caso è chiamata il Creato. L’uomo di Langa è diventato creativo per esigenza. Prendiamo “La malora” di Fenoglio o le poesie di Pavese, sono quasi articoli giornalistici scritti con pen­ne superlative. Descri­vo­no la stessa realtà con lucida visione, quasi scarna, tagliente e sen­za orpelli anche perché una realtà già lu­gubre non puoi caricarla di ridondanze o di opulenze. Loro descrivono quella vita grama che ti spinge a inventarti qualcosa per finire la giornata. Strofinare un’acciuga appesa a un filo con la polenta è creatività frutto di una povertà imbarazzante e incredibile. Il miracolo del Nebbiolo che diventa Barolo, le nocciole che nessuno voleva e diventano la Ferrero, il tartufo che puzzava ed è la pepita bianca più ambita nel mondo: esempi d’ingegno dovuto alla necessità».

Tasselli di identità italiana?
«L’identità italiana non esiste, chi pensa a un’unica realtà non sa cosa vuol dire identità. È una scommessa che noi facciamo con le generazioni future e che i nostri avi hanno fatto con noi. Se sei stato di cuore e generoso, le tue discendenze ne prenderanno il Dna. Ma quando c’è il rischio di perdere l’identità? Se vengo nelle colline bianche delle Langhe e tro­vo solo vigneti, non più boschi, questa è una perdita d’identità, se in Alta Langa vedo solo noccioleti e non più boschi, vigneti strani o campi di foraggio, c’è una perdita d’identità e di visione che mette a repentaglio il paesaggio. Se tu quel paesaggio nei millenni lo spiani, lo alzi, lo crivelli di pali, sposti l’identità precedente. In ogni luogo l’identità è una stratificazione socio-culturale, religiosa, sessuale, sociale e politica. Siccome le Lan­ghe sono riconosciute per quello che hanno, se togli quelle cose rischi di negare te stesso e perdere il valore derivato dalla malora, lo perdi per sempre. A cominciare dal flusso dei turisti… Chi arriva in un paesaggio cambiato perde la sua aspettativa».

Crede che ci sia questa consapevolezza?
«Spesso mi chiedo come si fa a non vedere? Se non ci sono più boschi, come fanno a non vedere? Vince sempre il denaro? Il consumismo a tutti i costi porta alla rovina fatale. Ad esempio, la sostenibilità è bellissima, ti rende nobile, ma io che ne parlo da vent’anni, mi rendo conto che si rischia di fare bellissimi esercizi di stile che la gente non capisce. O meglio, li capisce solo un’élite culturalmente elevata. Ma in modo reso becero da ciò che vediamo, il messaggio non passa. Anzi, la gente ti vede come un moralizzatore. Il grillo parlante tu lo schiacci, Pinocchio segue Lucignolo e deve finire nella pancia della balena per ritrovare suo padre, i valori e l’identità. Solo lì vede la luce dallo sfiatatoio della balena. Noi stiamo andando dietro a Lucignolo, non va bene».

Che cosa si deve fare?
«Ritornare ai valori. Mio nonno e mio padre, che riposano in quel cimitero, hanno faticato per garantirci un’epoca di fortuna e noi ci prendiamo tutto, depauperando la loro fatica senza il minimo rispetto? Chi parla di sostenibilità è visto davvero come un menagramo. Allora dobbiamo trovare un nuovo modo di raccontarla, con icone positive per creare proseliti. La sostenibilità è bella, ti senti una persona migliore se la fai, hai vantaggi concreti. Ma prima va ritrovato il senso di comunità che si è perso. Siamo diventati individualisti ed egoisti. Mio nonno partigiano mi diceva: “Non litigare con il vicino, perché in caso di bisogno ti guarda la schiena”».

CHI È

Autore, conduttore radiofonico e televisivo, è nato a Genova nel 1967 con origini famigliari radicate ad Alba. Venerdì scorso, nella sede di Banca d’Alba ha partecipato al convegno su riciclo e sostenibilità per il progetto “In.Te.Se Plus con Tessa Gelisio e Roberto Cavallo

COSA HA FATTO

Ha cominciato con “Decanter”, a RadioRai, in
coppia con Nicola Prudente detto “Tinto”. Poi sono arrivati i collegamenti per “Linea Verde Orizzonti” e le apparizioni a “La Prova del Cuoco” che hanno contribuito a specializzarlo nel racconto televisivo che intanto prosegue

COSA FA

La sua principale trasmissione a cui si dedica è “Il Provinciale”, tra i titoli Rai che meglio raccontano il territorio italiano. Recentemente si è parlato molto di nuovi incarichi, di diverse collocazioni nel palinsesto della rete pubblica. Ma quasi sicuramente Quaranta resterà in onda su Rai1, con la possibilità inoltre di qualche
appuntamento speciale in prima serata