C’erano botteghe di stampatori, doratori e marmisti. C’erano trattorie amate dai romani. Oggi solo locali turistici, menù fissi e tavolini sul marciapiede. Il panificio resiste, immobile nel tempo: l’insegna, il bancone, gli scaffali e i profumi raccontano una storia lunga un secolo. Da Pio XI a Papa Francesco, perché la famiglia Arrigoni, fin dagli anni Trenta, sforna il pane per i Pontefici.
Angelo, ottant’anni, entrò in bottega bambino, imparando il mestiere dal papà che, per amore, si era trasferito da Milano a Roma: una vecchia zia, religiosissima, gli prestò i soldi per avviare l’attività, chiedendogli però di prender casa e aprire il forno vicino San Pietro, dove intendeva trascorrere i suoi ultimi anni. C’era una panetteria, all’interno del Vaticano, ma in breve tempo prelati e monsignori varcarono le mura attirati dalla fragranza delle pagnotte di Arrigoni e anche Pio XI le volle, per gusto e per fiducia. Temeva, infatti, d’essere avvelenato e voleva avere il pane senza passaggi intermedi, così un messo si presentava con un forziere e il nonno di Angelo, che aveva raggiunto il figlio a Roma, dopo aver messo dentro il pane, lo chiudeva con una chiave dalla quale mai si separava. L’altra chiave era in Vaticano, così Pio XI non correva rischi. Dopo di lui, si rifornì Pio XII, e poi Papa Giovanni XXIII, il primo servito da Angelo. Era piccolo e il papà, preso dal lavoro, lo mandò a consegnare il pane: una suora lo aveva appena ritirato quando il Pontefice lo vide e volle conoscerlo. Era così emozionato, Angelo, da non ricordare cosa gli disse: impressa rimane invece tuttora la ramanzina del padre per il ritardo.
Quando Giovanni Paolo II salì sul soglio, Angelo chiamò per chiedere come il nuovo Papa desiderasse il pane, sentendosi dire che Wojtila voleva “il pane mangiato dai suoi lavoratori”, così sul tavolo finì la rosetta dei fornai di Arrigoni. Ratzinger, frattanto, era cliente. Nemmeno sapevano fosse cardinale finché un altro avventore, incrociandolo, lo chiamò con soggezione eminenza. Una volta eletto Papa, Arrigoni chiamò comunque e una suora, non sapendo fosse lo stesso fornaio, riferì che il Papa aveva già il suo panificio a Borgo Pio. Da quel giorno sulla tavola di Benedetto XVI arrivarono le solite pagnotte di farina integrale.
Adesso c’è Francesco, che non ha preferenze: Bergoglio, ha raccontato il panettiere dei Papi, «non desidera nulla per se stesso, non ha voluto che facessi apposta per lui il pane argentino e mangia quello che trova in tavola», pane croccante o baguette non lievitate o pagnotte a base di crusca. Prodotti che deliziano clienti popolari, attratti da profumi e sapori altrove perduti, immobili nel tempo come la bottega che resiste alla trasformazione d’un quartiere diventato ormai turistico. Resiste la bottega e resiste Angelo. Con la sua storia e la sua arte, con la memoria della famiglia e il rispetto di ricette eterne, un po’ ironico e un po’ malinconico quando guarda avanti e sorride: «Più che la trasformazione della strada, io la vedo morire – ha confidato al Venerdì di Repubblica – Abbiamo dato tanto al quartiere, ora contano solo soldi e business. Ma quando al posto di un panificio storico arriverà una cineseria, allora se la vedranno loro…».