«Felice ogni giorno, che cosa mi manca? Andare sulla Luna»

Giusy Versace, guerriera gentile. Ospite di Confapi al Castello di Manta, la campionessa ha raccontato la sua vita senza limiti: «Affronto una sfida alla volta mettendomi alla prova, devo tanto a chi mi sta vicino e alla fede»

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Campionessa italiana di atletica leggera su 100 e 200 metri, scrittrice, con­­duttrice televisiva, ballerina, Senatrice della Repubblica ma, soprattutto, donna tenace, forte e solare. Troppo? Forse. Ma Giusy Versace è questo e molto altro. Fin dal primo in­contro ci si sente rapiti e trascinati dentro il suo mondo fatto di energia positiva e amore per la vita. Quando racconta la sua storia incanta il pubblico. Iro­nica, solare, divertente e appassionata. Insegna alle persone a credere nelle proprie capacità. L’ab­biamo incontrata al Ca­stello Fai di Manta per il convegno promosso da Confapi Cuneo e dal suo presidente Massimo Al­bertengo. Versace. Originaria di Reggio Ca­labria, è una ragazza che ha visto la morte in faccia e con tanti sacrifici e attaccamento al­­la vita, ha cominciato un nuovo inizio.
Chi era Giusy prima del 2005 e chi è oggi?
«C’è un prima e un dopo per ogni cosa. Il mio prima, ha una data precisa: lunedì 22 agosto 2005. Ero una ragazza di 28 anni completamente proiettata sulla carriera. Studi tra Londra e Milano, parlavo bene le lingue e lavoravo nel campo della moda per aziende diverse dalla Versace. Ero Retail manager per lo sviluppo delle catene dirette o in franchising. Pia­nificavo, valutavo, organizzavo, e controllavo i nuovi punti vendita da aprire. Era un’estate come le altre ed ero in vacanza nella mia Reggio, dalla famiglia. Un cliente di Pompei, che avrebbe aperto il nuovo negozio a settembre, mi chiama per anticipare l’inaugurazione. E io? Non ci penso due volte. No­leggio un’auto, interrompo le vacanze e parto. Poi, tutto il re­sto è spiegato bene nel mio primo libro, “Con la testa e con il cuore si va ovunque”. A quell’appuntamento non sono mai arrivata. L’autostrada, il temporale, una galleria, l’auto che fa acquaplaning e poi l’urto spaventoso contro il guard-rail che cede, sfonda l’abitacolo e mi taglia le gambe».
Si ricorda tutto?
«Tutto. Non ho perso i sensi. Cerco di uscire dall’auto, perdo sangue, prego, piango, urlo e mi aggrappo alla vita. Perché ero viva, il cuore batteva e la testa funzionava. Questo solo era importante. Da lì ho ricominciato senza pormi le do­mande più prevedibili: perché proprio a me? È successo. Si va avanti, con tanta fede e con un’energia che non pensavo di avere. Davvero».
Chi o cosa le ha dato la forza?
«Da soli non si fa niente. Io avevo accanto persone eccezionali e molto più forti di me. Non potevo permettermi di crollare per non deluderli. Hanno imparato a camminare con me e mi hanno asciugato le lacrime. La mia forza è arrivata da quella delle persone e dalla grande fede. Mio padre, mio fratello Domenico, più piccolo di pochi anni ma che è di­ventato la mia ombra e non mi lascia mai sola. Il mio angelo. Ad ogni mio passo con le protesi c’era lui a sorreggermi. E mia ma­dre, che ho riscoperto nella sua bellezza solo dopo l’incidente. Mai un pianto davanti a me, ma solo sorrisi, dolcezza e serenità».
E poi arrivano i record, le Olim­piadi di Rio e la vittoria a Bal­lando con le stelle. Lei non ha limiti?
«Oggi corro e ballo ma non è stato facile come sembra. Non ero un’atleta, facevo spinning e un po’ di tennis. Ho scoperto di poter superare i miei limiti fisici e mentali solo quando ho affrontato queste sfide una alla volta. Amo mettermi alla prova e impegnarmi al massimo in ogni cosa che affronto. Sono stata la prima atleta italiana a correre con doppia amputazione. Amo la vita, e sono felice nonostante mi alzi ogni mattina augurandomi di arrivare a sera senza dolori».
Di cosa si occupa “Disabili No Limits”?
«È un’associazione che ho fondato nel 2011 per cercare di colmare un vuoto. Arrivare dove lo Stato non arriva e restituire alle persone con disabilità una vita più autonoma donando quegli ausili non previsti dal Si­stema Sanitario Nazionale. Pro­muo­viamo raccolte fondi per donare sedie a ruote ultraleggere e protesi in fibra di carbonio per migliorare la quotidianità, ma anche per praticare attività sportive».
Lo sport come terapia.
«Lei non sa quante persone che perdono la mobilità a seguito di malattie o incidenti si chiudono in sé stesse: provano rabbia. È umano e naturale. Molto spesso alcune vittime di incidenti si suicidano perché non accettano la loro condizione. Ho incontrato molta gente sola, ma davvero so­la. Le protesi adatte possono aiutare un percorso mentale di ri­presa della propria autonomia».
Parliamo invece della legge Versace che permette, dal 2021, l’accesso degli atleti paralimpici ai gruppi sportivi militari e ai corpi civili dello Stato.
«Mi fa piacere che passi l’idea che la legge porti il mio nome, ma non è così. Ero all’opposizione quando l’ho presentata. Sono la prima firmataria e ho lottato tanto per portarla in Aula. Un anno di lavoro, studio e riunioni continue con esperti, avvocati e rappresentanti dei vari comitati e dei gruppi sportivi militari. Ringrazio l’allora ministro Spa­dafora che, inserendo la legge nella Riforma dello sport, ha permesso di dare pari diritti e opportunità a quegli atleti che erano an­cora privi di tutele. L’anno scorso i primi 5 paralimpici han­no firmato un contratto con le Fiamme Gialle (la struttura della Guardia di Finanza che si occupa dell’attività sportiva, ndr)».
È orgogliosa di questo risultato.
«Assolutamente sì. Sento di rispettare il mio mandato parlamentare realizzando azioni che migliorino la vita delle persone. Fino a ieri, gli atleti paralimpici avevano solo il rimborso spese per partecipare alle competizioni nazionali o internazionali. Oggi, se rientrano nei gruppi militari, sono regolarmente assunti e stipendiati per allenarsi e tutelati dal punto di vista assicurativo. Quando smetteranno la carriera agonistica, potranno scegliere se congedarsi o rimanere arruolati, ovviamente, con ruoli amministrativi».
Adesso le faccio alcune domande, stile questionario di Proust, per conoscerla meglio. Libro sul comodino?
«“WonderGiusy”, il mio secondo libro. Non mi fraintenda, non voglio farmi pubblicità, ma davvero sto rileggendo il mio libro per prepararmi a realizzarne la versione audiolibro. Amo leggere e amo le biografie, dai personaggi storici agli sportivi».
Colore preferito?
«Viola».
Passatempo?
«Burraco».
Qualità che apprezza di più in una donna?
«Umiltà».
E in un uomo?
«Gentilezza».
Cosa detesta?
«L’ignoranza».
Nel 2010, con le protesi in carbonio, è la prima atleta italiana della storia a correre con amputazione bilaterale collezionando, negli anni, 11 titoli italiani, argento e bronzo agli Europei di Atletica. Oggi è al secondo mandato come parlamentare. Ha realizzato tutto o ci sono ancora sogni nel cassetto?
«Andare sulla luna. Ormai sono la prima ad aver fatto tante cose e vorrei appoggiare il mio piedino in carbonio sulla luna. Scherzo. Vorrei tradurre i miei libri in inglese per presentarli all’estero e vorrei anche lanciarmi con il paracadute. Per ben tre volte ho pianificato di farlo ma all’ultimo momento saltava tutto. Co­munque, pos­so consolarmi, ho già fatto il parapendio».