Ezio Rossi e la passione Subbuteo: “Ho dipinto anche il ‘mio’ Cuneo”

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Ezio Rossi, sulla panchina del Città di Varese in un match del 2021/22

Una passione (ri)nata quasi per caso e divenuta oggi qualcosa di quasi quotidiano. A 61 anni compiuti da poco (lo scorso 31 luglio), Ezio Rossi, oltre che un ex giocatore e un allenatore sempre in attesa di una nuova chiamata, è da qualche tempo anche un grande appassionato del Subbuteo, il “calcio con le mani” che spopolava tra i giovani fino a trent’anni fa e che oggi è diventato un mondo di nicchia per intenditori.

Di recente, è circolato molto tra i tifosi del Cuneo un post, in cui il tecnico torinese mostrava per la prima volta una delle sue ultime creature: la squadra versione Subbuteo di quel Cuneo che proprio Ezio Rossi condusse fino alla Serie C1, nella stagione 2012/13.

Un prodotto di nicchia, ricercato da molti appassionati e anche da alcune case di produzione.

Mister, come è nata la passione per il Subbuteo?
Diciamo che è una passione che era sopita e che ora è ripresa alla grande. Durante l’adolescenza per me, come per molti miei coetanei, quello era il gioco più bello del mondo. Poi, con la carriera e l’età adulta, l’avevo dimenticato. Quindi, quasi per caso, lo scorso anno ho iniziato a riavvicinarmi, fin quando la scorsa estate i miei amici, per festeggiare i miei 60 anni, mi hanno regalato uno stadio giocabile. Da lì, è stata la fine (ride, nda).

Ci gioca anche?
Quando mi sono riavvicinato al Subbuteo, era soprattutto per giocarci. In seconda battuta, ho iniziato a collezionare le squadre del passato, ma era una passione molto dispendiosa. Quindi, prima che mia moglie si arrabbiasse, ho pensato di iniziare a dipingerle (ride, nda). Ho scoperto che è qualcosa di bellissimo, che mi rilassa molto e che impiega al meglio le mie giornate.

E come è nata l’idea di realizzare il “suo” Cuneo?
Inizialmente l’idea era quella di collezionare almeno una riproduzione di tutte le squadre in cui ho giocato o che ho allenato. Chiaramente, di alcune non esistevano riproduzioni, per cui ho realizzato il Casale, il PDHAE e, appunto, il Cuneo. Quest’ultimo, però, ha qualcosa di speciale, perché è la prima squadra in cui ho provato a lavorare anche sui giocatori e sul loro aspetto estetico.

Insomma, non è stato un esperimento…
Diciamo di no, anche se ho ancora molto da imparare. Mi sono anche iscritto a un circolo di appassionati a Torino e coltivo questo interesse, vedendo da vicino alcuni “Maradona” del settore, che hanno abilità incredibili. È davvero bello, soprattutto per me che sono un allenatore in pensione…

Quindi nessuna possibilità di rivederla in panchina?
Al contrario. La voglia ci sarebbe sempre, ma al momento non sussistono le condizioni. Io non sono legato a qualcuno che possa sponsorizzarmi ma ho una carriera alle spalle e, pur allenando in Serie D per scelta, non mi svendo. Chi mi ha preso negli ultimi anni ha vinto o si è salvato, come da obiettivi di inizio stagione. Nel calcio piemontese dilettantistico, però, non ci sono tante realtà che hanno grandi potenzialità. Se qualcuno vuole un allenatore che vinca e che non parli, eccomi qui.

Chiudiamo con qualcosa di dolce: cosa ricorda di quel periodo a Cuneo?
È stato tutto bello e ho lasciato tanti amici. Fu una grandissima esperienza, anche e soprattutto per i risultati sportivi raggiunti. A Cuneo si fa calcio con serenità e ci sono persone perbene. Il contraltare, che è anche l’unico elemento che mi deluse a suo tempo, è che si è sereni perché la piazza non è molto affezionata, Fedelissimi a parte. Ricordo un Cuneo-Lecce, prima partita casalinga in Serie C1, con il “Paschiero” non sold out. Purtroppo, credo dipenda dalla mancanza di tradizione calcistica ad alti livelli. Detto ciò, non posso davvero rimpiangere nulla.