Chiude con 4.000 presenze la prima settimana di eventi del Pavese Festival 2023, che dal 5 al 10 settembre ha celebrato Cesare Pavese nel suo paese natale con un ampio ventaglio di eventi che hanno spaziato dai concerti agli spettacoli dal vivo, dalle presentazioni di libri alle mostre, dalle attività outdoor alle proposte per i più piccoli.
Tra gli ospiti di quest’anno, Claudio Baglioni – cui è stato consegnato il Premio Pavese Musica (I edizione); Mario Biondi, in concerto con un assaggio del nuovo album in uscita in autunno; Neri Marcorè e Mario Calabresi, al festival per presentare Era sempre festa, il nuovo podcast sui personaggi dei romanzi pavesiani realizzato dalla Fondazione Cesare Pavese in collaborazione con Chora Media, di cui Marcorè è voce narrante. Il Pavese Festival ora continua con altri appuntamenti venerdì 15 e sabato 16 settembre, prima del gran finale newyorkese, in programma il 27 settembre alla Casa Italiana Zerilli-Marimò.
«Le ultime quattro edizioni del Festival hanno registrato una crescita costante in fatto di numeri e partecipazione» dichiara Pierluigi Vaccaneo, direttore della Fondazione Cesare Pavese. «Un risultato ottenuto grazie alla grande qualità degli spettacoli e alla diversificazione degli appuntamenti: concerti, reading musicali, incontri con autori, laboratori per famiglie e ragazzi e il nuovo Premio Pavese Musica offrono un ventaglio di iniziative che vanno incontro a un pubblico sempre più ampio e questo è in linea con il modello di fruizione culturale di un paese e di un territorio candidato a capitale italiana della cultura per il 2026».
Laura Capra, sindaco di Santo Stefano Belbo e presidente della Fondazione Cesare Pavese, conferma: «Il Pavese Festival è ormai la più importante manifestazione del Comune di Santo Stefano Belbo. Un evento – da questa edizione a braccetto con il Premio Pavese – che grazie a grandissimi interpreti di qualità come Claudio Baglioni, Neri Marcorè e Mario Biondi ha riempito la piazza centrale del paese per tre serate di fila, il che ha favorito anche un’occasione di permanenza sul nostro territorio per più giorni. La crescita del nostro paese passa sempre di più attraverso la partecipazione culturale».
Resterà aperta al pubblico fino a Pasquetta, lunedì 1 aprile 2024 (accesso libero negli orari di apertura della Fondazione), la mostra che ogni anno inaugura con il Pavese Festival per accompagnare le attività della Fondazione Cesare Pavese nei mesi successivi. La chiesa dei SS. Giacomo e Cristoforo di Santo Stefano Belbo, sconsacrata e adibita a sede espositiva e spazio per eventi, ospita per l’occasione una serie di inediti e originali pavesiani dei Fondi Molina e Vaudagna, prime edizioni di Italo Calvino messe a disposizione dalla Fondazione Mancini Carini e preziose testimonianze della biblioteca personale di Lorenzo Mondo. Quest’ultima, insieme ai Fondi Molina e Vaudagna, fa parte infatti di recenti acquisizioni su donazione delle famiglie che la Fondazione si è impegnata a rendere accessibili al pubblico nei suoi spazi. Il Fondo Mondo sarà ospitato in forma permanente in una sala dedicata al secondo piano della Fondazione. Per tutta la durata della mostra, inoltre, nella sala Dialoghi del Museo pavesiano che di norma ospita i Fondi Molina e Vaudagna saranno esposte le pagine del Taccuino segreto di Cesare Pavese custodite da Lorenzo Mondo e il relativo carteggio con Natalia Ginzburg a seguito della pubblicazione.
Per la prima volta quest’anno il Pavese Festival ha ospitato al suo interno la cerimonia di consegna del Premio Pavese. A fare da ponte tra le due manifestazioni che celebrano Cesare Pavese nel suo paese natale, il Premio Pavese Musica nato proprio quest’anno da un’idea di Pierluigi Vaccaneo e di Massimo Cotto, giornalista e conduttore radiofonico. A ricevere il Premio – una scultura realizzata dall’artista Manuela Incorvaia – Claudio Baglioni, protagonista di una serata unica in cui si è raccontato al pubblico con grande generosità e ironia.
Nel ricevere il riconoscimento, il cantautore ha ringraziato con queste parole: «Quando ci si esibisce per tanti anni si ha sempre più la sensazione che il pubblico non sia più tanto fatto da alcuni spettatori, da altre persone, ma che sia in qualche modo lo specchio di noi stessi. La vera ambizione del successo sarebbe quella di essere riusciti a lasciare un segno anche nel modo di essere, di comportarsi. […] È veramente un grande onore ricevere questo premio. Io nei prossimi mesi della mia carriera – che sta appunto cominciando adesso a consolidarsi» ha aggiunto ironico «cercherò di meritarlo. Ho fatto questo tutta la vita: io il successo ho cercato di meritarlo, ogni giorno».
Non sono mancati naturalmente i riferimenti al grande scrittore santostefanese, letto e amato fin da giovanissimo.
«Io Pavese l’ho sentito, prima di capirlo». Così Claudio Baglioni descrive il suo incontro con l’autore della Luna e i falò. «Cominciai a leggere questo libro» racconta. «Sapete come quando un temporale è lontano, però noi sentiamo i tuoni, vediamo i lampi, e veniamo un po’ turbati, sentiamo la presenza, la forza, l’energia, l’elettricità, però non piove, non ci tocca, non ci bagna? Ecco, io nel leggere quelle pagine provai questa sensazione. Non capivo: era troppo per me, era complicato, c’erano tanti concetti dentro. Era denso di essenze, di profumi. Era una danza, anche le parole continuavano a ballare tra di loro, era un girotondo continuo, era un racconto mitico, leggendario. Dava l’idea di un’esistenza complessa, specialmente per le persone che vengono al mondo con qualche difetto, specialmente gli artisti: gli artisti sono creature imperfette perché gli manca sempre qualcosa. Hanno questo senso di inadeguatezza nei confronti della vita, eppure la amano da morire, cercano di interpretarla».
E confessa di aver provato in seguito anche una sorta di invidia nei suoi confronti «per aver raccontato la sua storia, le storie delle persone che aveva intorno, le vicende dei territori, di averli così descritti, di averli così portati alle orecchie, ai sentimenti e alle emozioni di tante persone». Ma anche per «il fatto che oltre a essere un artista, lui sia stato un artefice per molti altri artisti, che avesse una capacità critica, un talento anche nello scoprire nuove cose. Pavese è stato un artificiere che ha fatto brillare tante bombe di artisticità e di espressione. Qualcuno che ce l’ha fatta a comunicare, specialmente quando pensava di non esserci riuscito».
Il cantautore è stato inoltre omaggiato dall’Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba con un tartufo e dalla cantina I Vignaioli di Santo Stefano Belbo, di proprietà delle Cantine Ceretto e della famiglia Scavino con 52 bottiglie di Moscato d’Asti DOCG, una per ogni domenica dell’anno.
Venendo invece alle storiche sezioni del Premio Pavese, i premiati di questa 40a edizione sono stati Franca Cavagnoli (traduzione), Laura Pariani (narrativa), Paolo Repetti (editoria), Giovanna Rosadini (poesia) e Rosemary Salomone (saggistica). Quest’ultima, presente in video-collegamento alla cerimonia, ritirerà personalmente il premio in occasione dell’evento di chiusura del Pavese Festival a New York.
Dopo il grande successo degli appuntamenti santostefanesi, il Pavese Festival si prepara infatti al gran finale alla Casa Italiana Zerilli-Marimò di New York. Qui mercoledì 27 settembre alle ore 18.30 si terrà infatti l’incontro conclusivo della rassegna dal titolo “Dreaming of the USA. The writings and translations of Cesare Pavese”, organizzato dalla Fondazione Cesare Pavese e dalla Casa Italiana Zerilli-Marimò in collaborazione con la Olga Ragusa Foundation.
L’evento ruoterà attorno alla ricerca accademica commissionata dalla Fondazione Cesare Pavese sul Fondo Molina – sua recente acquisizione – a Iuri Moscardi, dottorando in letterature comparate al Graduate Center della City University di New York e curatore della rubrica di critica pavesiana Dialoghi con Pavese pubblicata sul sito della Fondazione.
«La donazione di libri del Fondo Molina alla Fondazione Cesare Pavese è di straordinaria importanza per lo studio del Pavese traduttore e conoscitore di letteratura anglo-americana» sottolinea Moscardi. «Nel fondo sono contenuti libri che Pavese ha usato per tre delle sue traduzioni (Joyce, Dickens e Stein) che ci permettono di ricostruire il suo lavoro grazie alle numerose note manoscritte lasciate sulle pagine e indicanti passi o parole a una prima lettura troppo difficili da tradurre. Anche i libri non usati per la traduzione contengono sottolineature, appunti, note di possesso che – se confrontati con il diario e le lettere – ci permettono di ricostruire con maggiore precisione l’incontro di Pavese con autori inglesi e americani che segnarono profondamente non solo il suo lavoro di traduttore ma anche la sua poetica».
Questa scoperta conferma l’approccio innovativo dello scrittore e dal punto di vista scientifico è un primo passo per l’avvio di nuove ricerche sull’attività di traduttore di Cesare Pavese, di importanza fondamentale per la sua opera in quanto fondante la ricerca linguistica che ha poi caratterizzato tutta la produzione successiva.
La ricerca verrà pubblicata nel numero di settembre 2023 della rivista scientifica Italica.
All’incontro di New York interverranno oltre a Moscardi e al direttore della Fondazione Cesare Pavese Pierluigi Vaccaneo, la scrittrice, traduttrice e professoressa Jhumpa Lahiri, il traduttore Brian Robert Moore e la professoressa Rosemary Salomone (St. John University).