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L’opinione di Alberto Pellai

«Più che la minaccia di incarcerazione dei genitori inadempienti, si dovrebbe lavorare per migliorare le condizioni sociali alla base di certi problemi»

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IL FATTO
Dopo i fatti di caivano, il governo ha approvato un decreto legge che prevede il generale inasprimento delle pene per contrastare i fenomeni di criminalità minorile

“Stretta”. È stata la parola più usata in questi giorni dai media per descrivere il senso delle misure annunciate dal Governo contro la criminalità giovanile, ovvero l’inasprimento delle pene dettato principalmente dal degrado civile e umano di Caivano e non solo: in generale contro il sempre più preoccupante fenomeno della criminalità giovanile.
Si ricorre a pene più dure per riportare la legalità e la sicurezza all’interno delle città sempre più messe a rischio da episodi di violenza legati, ad esempio, al fenomeno delle baby gang o in generale all’uso di armi da fuoco da parte di minorenni. Nel decreto approvato dal Consiglio dei ministri – sulla base dei gravi fatti di Caivano (stupri di gruppo su ragazzine e violenze varie) – ci sono appunto misure “urgenti” di contrasto alla criminalità minorile, dalla possibilità di arresto in flagranza per chi spaccia quantitativi minimi di stupefacenti all’inasprimento generale delle pene, dal Daspo urbano esteso ai minorenni (con divieto di usare telefonini) fino alla perdita della potestà genitoriale nei casi di dispersione scolastica.
Misure in linea con l’appartenenza politica del governo Meloni ma destinate a scatenare un dibattito, più o meno utile e costruttivo. E se il modello d’ispirazione sembra quello americano (è notizia dei giorni scorsi l’ergastolo a cui è stato condannato negli Usa un 14enne che aveva sterminato la sua famiglia), è inevitabile domandarsi se sia più logico – e soprattutto più sensato – colpire pesantamente chi delinque oppure fare in modo che non si creino le condizioni per arrivare al reato. Più facile e sbrigativa la prima soluzione, più complessa la seconda.
A questo proposito, lo psicoterapeuta Alberto Pellai ha così commentato: «La legge ha il dovere di sancire ciò che è giusto e ciò che non lo è. Ha il dovere di punire colui che la infrange con lo scopo di promuoverne consapevolezza, capacità riparativa e riabilitativa. Ma nel territorio urbano in cui il degrado socio-economico del mondo adulto si trasforma in abbandono ed emergenza educativa, forse l’intervento dello stato dovrebbe essere di altra natura». E allora, secondo Pellai, in certe situazioni ambientali «più che la minaccia di incarcerazione del genitore inadempiente, si dovrebbe lavorare per promuovere tutti quei fattori di protezione in grado di trasformare un genitore fragile in genitore competente».
Ma alla fine delle considerazioni negative o comunque preoccupate, c’è anche un risvolto positivo: «Va però aggiunta la buona notizia – scrive Pellai su Famiglia Cristiana – in base alla quale lo stesso governo che ha reso perseguibile per legge e detenibile in carcere il genitore inadempiente, ha stabilito però che verranno erogati 32 milioni di euro in tre anni per rafforzare l’organico docenti e che sarà istituito un Fondo contro la dispersione scolastica a partire dal 2024».