A Verduno ha stupito per le sue citazioni in piemontese, al telefono colpisce per come sa tradurre in parole pulsanti il grande bagaglio culturale che lo accompagna sempre. Moni Ovadia è un lucido intellettuale al servizio, appunto, della conoscenza. «Mi hanno portato qui – racconta il maestro – quegli albesi che crearono il miracolo di Slow Food. Conosco Carlin da cinquant’anni, quando con lui c’erano Azio Citi e Giovanni Ravinale: facevamo concerti, cene pantagrueliche e grandi bevute assieme all’attività culturale».
Hanno cambiato il concetto di cibo?
«Sono stati un nucleo rivoluzionario in senso alto, hanno capito una cosa fondamentale che i politici non hanno mai colto, cioè che la rivoluzione deve saper essere benigna. Carlin ha fatto una grande rivoluzione e costruito un’utopia possibile. Sì, quello con Carlin è stato un incontro magico della mia vita, una personale epifania che ha fatto di me l’uomo che sono oggi, grazie a quell’estro e anche l’umanità. Quando vedo Carlin dopo un po’ di tempo, trovo la stessa persona di sempre con la sua radice contadina e la cultura vasta».
Non è un caso che tutto sia partito dalle Langhe?
«Le Langhe sono una terra magica, un continente a parte dove ho tanti ricordi. L’Alta Langa con i paesaggi lunari e le serate col pallone elastico… Azio Citi mi fece conoscere questo cantante popolaresco, Ugo d’Verdun, e io impazzii. Amavo quelle forme musicali “vili” con una grazia poetica sgangherata».
E quando ha ritirato il Premio Fulvia, ha cantato in piemontese…
«“Viva la trifula”, e “La canson busiarda”. Sono innamorato anche del dialetto delle Langhe, un piemontese singolare».
La terra di Beppe Fenoglio.
«Un gigante come scrittore e come uomo, antifascista in modalità straordinaria, da monarchico, perché l’antifascismo non è cultura di parte ma appartiene agli uomini giusti, al di là degli orientamenti politici».
Se ne parla anche nello spettacolo “Il duce delinquente”.
«Il mio spettacolo narrato da Aldo Cazzullo che, oltre a essere il giornalista e scrittore che è, si è rivelato anche un narratore molto efficace in palcoscenico. Io leggo e lui narra, io cito i carteggi fra Matteotti e la moglie, tra Mussolini e la Petacci, le posizioni vili del Re. Concludiamo con il partigiano di Fenoglio che guarda dall’alto e con un “Bella ciao” lento come un canto interiore».
Com’è leggere le lettere di Mussolini, entrare in quella visione?
«Ho studiato tantissimo il fascismo, cercando di contrastare con forza la retorica revisionista che parte dal detto “italiani brava gente”. Un falso, la brava gente è trasversale. I fascisti italiani non hanno compiuto solo nefandezze in solido con i nazisti, ma anche per conto loro: in Cirenaica, Grecia, Albania, Jugoslavia: crimini imputabili al genocidio. Poi c’è la retorica delle foibe, certo, però nel 1941 i fascisti invasero la Jugoslavia e ne fecero di tutti i colori, alleandosi con Ante Pavelic e i suoi Ustascia, accusati perfino dai nazisti per l’eccesso di efferatezza… E poi guardi, essendo ebreo non ne parlo mai, ma ai tempi delle leggi razziali, i bimbi ebrei di 5-6 anni furono buttati fuori dalle scuole e nessuno fece nulla. E all’epoca i tedeschi non erano in Italia. In Danimarca non fu così, anche la Bulgaria si oppose».
Ai giorni nostri come vede il contesto generale?
«All’epoca furono pavidità, vigliaccheria e provincialismo a far strada al fascismo e però oggi ci sono fenomeni di ritorno come il libro di questo generale che arriva a negare addirittura la carta universale dei diritti dell’uomo. Non mi stupisce, io ho 77 anni, ho fatto quello che ho voluto, senza compromessi, pagando un prezzo. Ma per i giovani, così non c’è futuro. Si è spenta la cultura della rivolta. Guardi i francesi come si sono sollevati contro il limite dei due anni in più per l’età pensionabile… Qui in Italia non accade mai nulla».
Perché la cultura non riesce ad avere un ruolo?
«Berlusconi ha distrutto la parte più innovativa, quella degli anni galvanizzanti tra ’60 e ’70. Lui ha tirato fuori l’anima più opportunista, piccola e furba del Paese ed ecco il risultato. Come mi ha detto il giudice Gratteri, dovremmo almeno quadruplicare gli investimenti su istruzione e cultura. Ma si usano soldi per comprare armi, non per fare delle scuole luoghi di formazione e cultura».
E la televisione?
«Tranne rari casi la cultura è nelle mani di yes-men e in tv si vede. La Rai dovrebbe essere pubblica e dei cittadini, invece è del governo. Io non conto nulla ma manderei in onda passi della Costituzione come formazione per il cittadino. Non siamo mai stati una nazione ma con la costituzione della Repubblica siamo diventati una comunità nazionale».
Per cambiare serve una politica che parta dal basso?
«La politica fa ciò che in Veneto è riassunto nel detto “peso el tacòn del buso”: deve sempre aggiustare. Ora, non è colpa del governo attuale ma Caivano, quel luogo degradato di stupri collettivi era così da anni. Chi governa pensa solo alla perpetuazione del potere, l’unica possibilità viene dai movimenti, dal basso. Non è populismo: è la realtà a essere populista».
Com’è il suo rapporto con i social?
«Li uso solo per lavoro, per necessità: mail ai collaboratori e chat per darci appuntamenti. La rete è una cloaca piena di insulti e cose tremende come ad esempio il porn-revenge. È governata dalle multinazionali. Specchio di questa democrazia dove la banca europea ci impone il 48% di tasse e alle multinazionali il 5%. Una buffonata, questa purtroppo è una “scorza di democrazia”».
Due date in Spagna a fine ottobre per lo spettacolo “Il duce delinquente”
Mentre prosegue il tour nei teatri italiani, si avvicina anche la prima data all’estero per “Il duce delinquente”, lo spettacolo a due voci con musiche di Giovanna Famulari che ormai da più di un anno va in scena tra repliche e grandi accoglienze. Il debutto oltre confine è fissato in Spagna, a Madrid, dove sono già in calendario gli appuntamenti del 24 e del 25 ottobre. È la conferma del successo ottenuto dallo spettacolo di Aldo Cazzullo e Moni Ovadia dove il primo racconta la storia e il secondo interpreta i testi di Mussolini e quelli delle sue vittime.