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Le vie della transumanza sono infinite: Cheese accende i riflettori sulla loro importanza

Sono cruciali per la difesa del patrimonio culturale e paesaggistico italiano, ma rappresentano anche uno strumento di sviluppo in ambito turistico sostenibile

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Da nord a sud, sentieri e tratturi puntellano il paesaggio italiano: sono i percorsi lungo i quali, stagione dopo stagione, gli animali e i pastori si spostano, in primavera per raggiungere i pascoli e in autunno per far ritorno verso le stalle. La transumanza rappresenta una tradizione e una forma di cultura antichissima, ma non solo: è una pratica attuale, che molti pastori in tutta la penisola continuano a svolgere. La cura delle vie della transumanza, che oggi in parte versano in stato di abbandono, non può più attendere: per questo motivo Cheese, dove è stato presentato il manifesto Salviamo i prati stabili, i pascoli e i pastori, accende la luce sull’importanza della loro salvaguardia.

Una necessità per l’allevamento, un’opportunità per l’economia.
«La transumanza è legata al sistema dell’alpeggio» spiega Carlo Mazzoleni, dello Storico Ribelle, Presidio Slow Food e formaggio simbolo di resistenza nelle sulle Prealpi Orobie. Alla fine della primavera, i pastori lasciano le stalle del fondovalle, a circa duecento metri di quota, per portare gli animali in quote anche superiori ai duemila metri. La transumanza può durare da due o tre giorni fino a una settimana ed è importante per diversi motivi: «Le tappe a media quota, ad altitudini dove protagonista è il bosco, sono fondamentali per conservare i prati ed evitare che vengano inghiottiti dalla vegetazione, ma anche per gli animali che hanno necessità di adattarsi al cambio di alimentazione rispetto alla stalla» aggiunge Mazzoleni.

La transumanza, orizzontale o verticale.
La transumanza può essere verticale od orizzontale: la prima, diffusa perlopiù al nord, prevede lo spostamento di greggi e mandrie nei territori montani; la seconda, maggiormente caratteristica delle zone mediterranee, consiste nella migrazione del bestiame nelle regioni pianeggianti. Le difficoltà, però, sono uguali per tutti: «Tanti sentieri sono stati abbandonati e muoversi sull’asfalto è pericoloso – aggiunge Mazzoleni –. In alcuni casi è anche vietato: capita, alle volte, che giungano lamentele e diffide per via della sporcizia e delle deiezioni degli animali lungo le strade. Ci si lamenta che si perdono le tradizioni, ma poi si protesta per queste ragioni. Credo che la transumanza possa, invece, essere vista come ricchezza e risorsa, vivendola con orgoglio e senso di appartenenza al territorio».

Seicento chilometri più a sud, ad Anversa dei Abruzzi nell’aquilano, vive Viola Marcelli, agronoma esperta in zootecnia e proprietaria dell’agriturismo La porta dei parchi. Ogni estate porta le sue pecore fino a duemila metri di quota: «La gioia della transumanza consiste nel sapere di fare un percorso positivo sia per gli animali sia per l’ambiente, perché in questo modo si dà la possibilità ai prati di rigenerarsi». Le difficoltà, invece, «sono legate alla scarsa manutenzione dei sentieri e degli alpeggi nei quali i pastori trascorrono l’estate. Sono quarant’anni che facciamo la transumanza, ma nonostante questo non abbiamo mai avuto un punto di contatto, un riconoscimento da parte delle istituzioni».

Oltre alle sue pecore, alla transumanza prendono parte anche i turisti interessati a vivere un’esperienza unica: «La prima volta è stata nel 2000 – ricorda – con un gruppo di ospiti tedeschi in agriturismo. Ci chiesero se fosse possibile fare un pezzo di strada con noi e gli animali: notando l’interesse delle persone nel riscoprire questa pratica, abbiamo capito che la cosa giusta da fare era renderla accessibile».

 

Un bene diventato patrimonio Unesco.
L’11 dicembre 2019 le vie della transumanza hanno ottenuto il riconoscimento da parte dell’Unesco: «Un ottimo punto di partenza per diffondere alle nuove generazioni un’attività della tradizione – dice Nicola di Niro, direttore dell’agenzia di sviluppo Asvir Moligal –. La transumanza è un’esperienza inimmaginabile, perché unisce i territori, i borghi e costituisce una rete molto estesa di strade viarie».

Proprio della valorizzazione della tradizione della transumanza, tra le altre cose, si sta occupando il Geoportale della Cultura Alimentare (GeCA), con il progetto dedicato alla regione Basilicata, promosso dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (Icpi) e finanziato dal Pon (Programma Operativo Nazionale) Cultura e Sviluppo, di cui Slow Food è partner. «All’interno dell’Icpi – spiega il direttore Leandro Ventura – è attivo un laboratorio permanente sul paesaggio per documentare e studiare le trasformazioni connesse alle attività legate a patrimoni come la pastorizia, le pratiche agricole e l’architettura rurale». Da questo punto di vista, il territorio lucano ha una lunghissima tradizione legata alla pratica della transumanza: un rituale dal quale nascono prodotti alimentari straordinari, ricchi di biodiversità, come caciocavalli e scamorze.