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«Per non scivolare in una storia maledetta scegliamo la cultura»

Dopo un’estate segnata da tanti fatti di cronaca nera abbiamo interpellato l’ideatrice del noto programma investigativo della Rai: «Ciascuno di noi può cadere in un vuoto di coscienza. Difendiamoci puntando su educazione, scuola e famiglia. Nuove puntate? Ci sto lavorando ma non do date, porta sfortuna»

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Nero, anzi, nerissimo: il bollettino dei fatti efferati dell’estate italiana è cupo. La violenza, spesso perpetrata ai danni di donne, ha dilagato. E nella stragrande maggioranza dei casi non c’entrava la criminalità organizzata: si è trattato di delitti scaturiti dal vuoto di coscienza che ha inghiottito persone qualsiasi. Del­­le storie maledette, insomma, proprio come quelle al centro dell’omonimo prog­ram­ma Rai che, dal 1994, racconta le vicende di personaggi dalla vita comune diventati poi noti per tragici avvenimenti di cronaca nera. È per questo che noi di IDEA abbiamo interpellato l’ideatrice e conduttrice della trasmissione: Franca Leosini, giornalista apprezzata da tutti per la sua smisurata competenza e per il suo inconfondibile stile, fatto di eleganza, iperboli, metafore e ironia. Carat­teri­stiche che l’hanno resa un’icona del genere investigativo, ricercatissima e ap­plauditissima sul web e addirittura imitata in tv, dove Paola Cortellesi le ha dedicato una riuscitissima parodia.

Leosini, il bilancio dell’ultima estate è tragico.
«È vero, purtroppo. Citando il titolo di un vecchio film, è stata un’“Estate violenta”, con troppe donne che hanno subito dagli uomini una violenza incredibile, atroce».
Per qualcuno sarebbe colpa del troppo caldo o degli strascichi lasciati dal Covid.
«È inaccettabile che questi terribili delitti vengano semplificati così…».

Cosa c’è dietro?
«Una vicenda umana. Ogni delitto si origina da un percorso di dolore che non si può ri­durre a situazioni circostanziali, come possono essere appunto il Covid o il caldo».

Ma il contesto conta, no?
«E certo! Ma nei delitti bisogna indagare proprio tutti gli aspetti. L’ambiente, le motivazioni, il carattere, la psicologia».

Lei da dove parte?
«Individuo una vicenda che mi ha colpito e coinvolto particolarmente, e poi comincio a passarla al setaccio».

Quante volte incontra i suoi intervistati?
«Solo due: una volta prima del­le riprese, la seconda per l’in­ter­­vista vera e propria».

E nell’incontro a telecamere spente di cosa parlate?
«Di tutto. È un incontro che mi serve per studiare l’intervistato, per comprendere la sua psicologia, conoscere la sua sensibilità, le sue reazioni».

Concorda le domande?
«Mai! Non le concordo e nemmeno le anticipo. E se qualcuno dovesse pretenderle, io rifiuto e faccio saltare l’intervista. Diventerebbe una recita».

Qualcuno ci ha provato?
«Sì. E così una volta feci saltare l’intervista all’ultimo. Poi dissi al direttore di rete di cacciarmi pure, se lo riteneva. Non lo fe­ce: comprese le mie motivazioni e mi diede ragione».

È intransigente. Dovrebbe esserlo tutta l’informazione, non crede?
«In tutti i casi che raccontiamo, non solo quelli delittuosi, noi giornalisti dobbiamo agire liberi da qualsiasi pregiudizio e con grande onestà intellettuale. Ma non è tutto».

Prego, prosegua.
«Bisogna studiare parecchio».

C’è poca preparazione?
«Dico solo che serve andare oltre al proprio bagaglio culturale di base».

Lei lo fa per ogni “Storia Maledetta”.
«Prima di affrontare la vicenda, studio tutti gli atti del processo (e dire che mi ero laureata in Let­te­re, non in Leg­ge…), oltre al­l’ambiente. E se necessario mi reco anche di persona nei luoghi in cui si sono verificati i fatti. Poi raccolgo e analizzo testimonianze, leggo gli articoli dell’epoca, e tante altre cose. Ogni puntata richiede una preparazione molto lunga».

Le sue frasi ironiche sono stu­diate a tavolino?
«No, arrivano spontanee. È la mia napoletanità che emerge».

Come si pongono gli intervistati nei suoi confronti?
«Compiono un grande gesto di fiducia nei miei confronti perché, in qualche modo, affidano a me il loro destino».

Come riesce a conquistare la loro fiducia?
«Non scendendo mai a patti e ponendomi sempre con il massimo rispetto. Sono le uniche mie “armi”. Anche perché gli intervistati non percepiscono compensi. Ci guadagnano però in credibilità. Mi è capitato, a distanza di anni, di risentire alcuni di loro e tutti mi hanno detto che, una volta tornati in libertà, grazie a quell’intervista, avevano trovato sostegno nella società».

È un modo per riabilitare i “cattivi”?
«Assolutamente no. I delitti non si giustificano, mai, ma si interpretano. Del resto, i miei intervistati non sono dei professionisti del crimine, ma persone qualsiasi che a un certo punto della loro vita sono ca­dute nel vuoto di una maledetta storia. Nella loro coscienza si è spalancato il baratro e lì sono sprofondate, bruciando la vita altrui e la propria».

Lei resta comunque sempre oggettiva…
«Il mio compito non è accusare né tanto meno giudicare, ruolo che compete alla Giustizia. Io desidero capire e fare capire al pubblico. Voglio indagare che cosa abbia portato quella persona a passare da una normale quotidianità all’orrore di un gesto così estremo».

Ciascuno di noi può scivolare in un vuoto di coscienza. Co­me ci si salva?
«Con la cultura, con la sensibilità personale. Credo molto nel potere dell’educazione, della famiglia, della scuola e di tutto ciò che prepara gli individui a vivere nella società».

Dalla Giustizia cosa è lecito aspettarsi?
«Pene severe, dure, adeguate alla gravità di un delitto. Perso­nalmente, davanti a certi omicidi non esiterei a chiudere – ma non togliere – la vita di una persona, ossia infliggerei il massimo della pena. Non ci sono giustificazioni di fronte al fatto di aver eliminato una vita. È una questione etica, oltre che di sicurezza pubblica».

Con “Storie Maledette” è stata premiata 41 volte. La gio­ia più grande?
«Il vero premio è incontrare persone che mi vogliono stringere la mano o, semplicemente, complimentarsi e poi sapere che ancora oggi le mie puntate sono seguitissime, pure dai più giovani».

Ci sono tanti Leosiners in giro per l’Italia.
«Ecco, proprio loro! È davvero gratificante».

È vero che sta per tornare in tv con nuove “Storie Ma­le­dette”? Peraltro, finora ne ha raccontate 98…
«Ora che la pandemia sembra essersi spenta, è di nuovo possibile effettuare incontri nelle carceri. E quindi…».

Quindi?
«Vediamo, vediamo. Posso so­lo dire che ci sto lavorando».

Una data?
«Eh no! Porta sfortuna. Sono pur sempre napoletana, ri­corda?».

Da napoletana cosa sa dirci della provincia di Cuneo?
«Purtroppo ci sono stata solo di passaggio, mi piacerebbe visitarla meglio. Mi trasmette tranquillità e serenità».

CHI È

Nata a Napoli nel 1934, Franca Lando, che ha preso poi il cognome dal marito Massimo Leosini, è l’ideatrice e la conduttrice del programma Rai “Storie Maledette”, la trasmissione che si occupa di intervistare persone dalla vita comune diventate note per terribili avvenimenti di cronaca nera.

COSA HA FATTO

Laureata in Lettere Moderne, ha iniziato la carriera all’Espresso. In seguito, è diventata direttrice del mensile Cosmopolitan e ha curato la “terza pagina” del Tempo. Nel 1988, ha iniziato a collaborare con la Rai, divenendo autrice di “Telefono giallo”, condotto da Corrado Augias.

COSA FA

Ha condotto “Parte Civile” e “I grandi processi”. Dal 1994, conduce “Storie Maledette”, di cui è anche autrice. Ha recitato in due film. Nel 2021, su Rai 3, ha presentato “Che fine ha fatto Baby Jane?”. Ora sta lavorando a nuove puntate di “Storie Maledette”, programma cult che finora ha ricevuto ben 41 riconoscimenti.