«Godo in sovrappiù a provarci che a farcela», disse Leonardo da Vinci ispirando oggi Oscar Farinetti nella scrittura di “10 mosse per affrontare il futuro”. «Sono le mie soluzioni per il futuro – dice l’imprenditore-autore – e le ho poste in discussione con l’uomo che, di tutti i tempi in assoluto, si è dimostrato “cintura nera di avvenire”. L’uomo che disegnava elicotteri 500 anni fa, uno che di futuro se ne intende. E anche di errori».
Anche questo è stato un motivo di ispirazione?
«Spiego sempre che io, mediamente, su dieci iniziative ne sbaglio sei. Leonardo ci ha lasciato delle incompiute che hanno comunque avuto un grande valore. Se guardiamo al 40 per cento, cioè ai successi, sono incredibili ma sono frutto di quel 60 per cento di suoi errori».
Farinetti, il suo ultimo libro è coerente con quelli precedenti: parla di come affrontare il domani.
«Sa cosa diceva Hemingway? Che ognuno di noi scrive lo stesso libro per tutta la vita. Abbiamo tutti i nostri mantra, io ho quello del futuro, della fiducia e dell’ottimismo e cerco ogni volta di interpretarlo secondo una luce nuova».
La sua è una battaglia contro il pessimismo?
«Come spiego nel libro, bisogna sempre partire dai sentimenti e non dalle regole, quelle vengono dopo. Per esempio, mossa numero uno: saper gestire l’imperfezione. È una questione di postura di fronte alla realtà che altrimenti non potremmo modificare se non cambiamo prospettiva. La perfezione non esiste in natura, quindi cerchiamo soluzioni sub-ottimali, pur puntando sempre all’ottimale. Se ci provo e poi mi arrendo, l’importante è comunque averci provato. Altro esempio, quello dell’emergenza ambientale: un tema immenso che però va affrontato secondo il principio del “from duty to beauty” cioè narrandolo come elemento di bellezza, qualcosa di attraente e piacevole, non come dovere. Poi c’è il concetto di mai mollare, “never give up”, perché questo ci fa restare giovani. Nell’elenco delle 10 diverse posture ci sono sentimenti molto antichi. Mentre avere fiducia, oggi, incredibilmente è diventato un sentimento nuovo».
Quanto è importante avere l’atteggiamento giusto nell’affrontare i problemi?
«Non solo è importante ma addirittura vitale, come le radici per un albero. La filiera umana è fatta di sentimenti, pensieri, parole, azioni e prodotto. Al centro c’è la parola che è un po’ la parte musicale. Occorre partire dalle radici, dai sentimenti buoni, se vogliamo modificarci. Dobbiamo acquisire l’attitudine a cambiare. In Italia non è facile. Siamo un paese “neofobo” e statico. Incredibile: noi italiani siamo gli unici al mondo dove il mercato delle auto elettriche decresce di anno in anno invece che aumentare. Troviamo mille scuse per non comprarle le batterie e tutto il resto… Balle. Siamo anche l’ultimo paese al mondo a voler cessare di usare il cambio manuale – per restare in ambito automobilistico – in favore di quello automatico: un dettaglio totalmente inutile che per noi rappresenta qualcosa di irrinunciabile».
Siamo ancorati al passato: è così?
«Alle abitudini. Accade lo stesso quando ordiniamo “il solito” al ristorante. Tutto poi si ricollega ai sondaggi che ci indicano, su cento paesi, come quello meno ottimista al mondo. Eppure, ottimismo e fiducia sono alla base della felicità, quindi – incredibilmente – il popolo nato nel più bel paese del mondo è quello più pessimista e sfiduciato. Ma cavolo, bisogna cambiare!».
Ci sarà un capitolo successivo? Un nuovo libro?
«Certo, non smetterò mai di scrivere. Nella vita sono al quarto mestiere: prima ero negli alimentari, poi l’elettronica, il terzo – con Eataly – mi ha portato al cibo e il quarto è il mestiere di lettore e scrittore, quello di studiare e scrivere. Sono contento perché ho ormai un mio zoccolo duro di lettori, questi miei libri vendono circa 50mila copie in media, ho “fan” che mi seguono. L’obiettivo è allargare questa cerchia sempre di più, sono convinto che questi miei pensieri ispirati all’armonia, al rispetto delle differenze, all’ambiente, siano giusti per assicurare un buon futuro a tutti. Perché l’obiettivo è il bene comune: non parlo mai di me, sempre di noi».
La seguono anche i giovani?
«Sono la stragrande maggioranza ed è il terreno più fertile su cui lavorare. Il target è questo: diciamo la parte più anziana della Gen Z, tra 19 e 24 anni. Si tratta di una generazione che è già nata nella m… la prima che non ha la certezza assoluta di un futuro migliore dei genitori. Tutti noi – da chi come me ha quasi 70 anni a chi ne ha 40 -siamo nati quasi sempre con la sicurezza che la nostra vita sarebbe stata più bella rispetto ai genitori. Ora non è più così ed è una rivoluzione culturale».
In che senso?
«Noto in questi ragazzi una disponibilità diversa verso l’ambiente e la vita. L’ultima volta ero all’università di Torino e avevo questi ventenni davanti a me (io vado con la scusa di fare lezione, in realtà la porto sempre a casa io, la lezione). Ecco: alla domanda fatidica “alzi la mano chi fra di voi nei prossimi dieci o venti anni vorrà avere un figlio”, l’ottanta per cento ha detto di sì, che lo vorrebbe. È pazzesco, se ci pensate».
Questi giovani hanno una maggiore consapevolezza?
«Deriva da ciò che Leonardo chiamava esperienza. Lui sostiene che è fondamentale, va abbinata allo studio ma bisogna sempre guardare, osservare, sperimentare. Questi ragazzi sanno di nascere in un ambiente compromesso, pieno di immondizia, con la Co2 prodotta dalla generazione precedente (la nostra): vedono a rischio la loro vita, e certo che vogliono cambiare!».