IL FATTO
Non era mai capitato di avere così tante cariche pubbliche, politiche e aziendali ricoperte da donne. Un segno di ulteriore emancipazione. possiamo accontentarci?
Qualcosa si muove. Le donne cominciano a conquistare ruoli importanti in società. Fino soltanto a pochi anni fa non era così scontato, le leve del comando erano stabilmente controllate da manager uomini. Attualmente, invece, due donne ricoprono i ruoli politici più importanti in Parlamento, in rappresentanza di destra e sinistra. Come ha scritto Ferruccio De Bortoli nella sua rubrica sul settimanale Oggi: «Non era mai capitato, nella storia del nostro Paese, di avere così tante cariche pubbliche, politiche e di vertici aziendali ricoperte da donne. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha come avversaria, al vertice del maggior partito d’opposizione, il Pd, Elly Schlein. Camera e Senato sono già state guidate da onorevoli donne, da Nilde Iotti a Laura Boldrini a Elisabetta Casellati, anche se le presenze femminili in Parlamento sono tornate a diminuire dopo le ultime elezioni. Così la Corte Costituzionale, che ha avuto al vertice Marta Cartabia e ora Silvana Sciarra. La Corte di Cassazione è presieduta, per la prima volta nella storia repubblicana, da Margherita Cassano. Il soffitto di cristallo è appena stato rotto, all’Avvocatura generale dello Stato, da Gabriella Palmieri Sandulli».
La tendenza, nel campo istituzionale, trova conferme anche ai vertici delle aziende. Anche qui nel settore privato, le donne stanno cominciando ad acquisiscono maggiori responsabilità decisionali e gestionali. Insomma, essere manager non è più un’esclusiva maschile e neanche la capacità di esserlo ad alto rendimento. «Grazie alla legge Golfo-Mosca – scrive De Bortoli -, la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate è salita, nel 2022, al 42 per cento. Così le donne che ricoprono ruoli di amministratrice delegata nelle prime cento società sono il 12 per cento».
Tutto bene, dunque? Se è vero che la cronaca continua purtroppo a segnalare in misura clamorosamente alta episodi di violenza sulle donne, nell’ambito sociale si fanno piccoli passi avanti verso un’effettiva parità. Ma sono passaggi sufficienti? De Bortoli è giustamente critico: «I progressi sulla parità di genere si misurano nel complesso della società, non solo sulle sue élite. In quanto a occupazione femminile siamo allo stesso livello di Argentina e Sudafrica, sideralmente distanti dai Paesi nordici. Troppi part time. Agli ultimi posti per le differenze retributive. E siamo in coda anche nella classifica che misura l’insieme delle politiche, nell’istruzione, nella sanità, nei servizi, a favore delle donne e per la parità di genere. Stiamo andando indietro, non avanti. È stato calcolato che se soltanto facessimo la metà dei progressi dei Paesi più avanzati, impiegheremmo 64 anni per raggiungere i livelli di Francia, Germania e Regno Unito. Non basta qualche carica in più». In altre parole: c’è ancora tanto da fare.