Nella ricognizione in corso delle opere del pittore Matteo Olivero (Acceglio 1879-Saluzzo 1932), questa mostra offre una scelta di 25 quadri inediti – riemersi, tutti, da collezioni private
– e di nove quadri ritrovati, ovvero censiti nel 1959 da Angelo Dragone ma di raro accesso al pubblico. La qualità, collegata per troppo tempo a un nucleo fisso di dipinti nella discontinua attenzione a questo maestro, si va riconoscendo ormai a tutta una gamma di espressioni diverse per genere, supporto e formato grazie alla capillare ricerca, coordinata dal Prof. Antonio Musiari dell’Accademia Albertina di Torino, di cui la mostra stessa è un nuovo esito.
Nel percorso espositivo e nel catalogo, due opere valgono da punto fermo e, insieme, da termini di paragone, rispettivamente per i paesaggi delle Alpi Cozie e per gli autoritratti. Rileggendo un capolavoro ben noto quale Tramonto: Marmora, vengono accostati qui bozzetti, studi e quadri sulla tematica della montagna che dispiegano le risorse di Olivero in tale ramo a lui da sempre collegato in modo quasi esclusivo. Prestato dal Comune di Acceglio, Uno strambo in Piazza San Marco suscita un permanente stupore anzitutto per l’efficace sintesi, dato che Olivero vi si rappresenta come performer in una delle sue molte maschere – lo Strambo, appunto-, nello scenario dominato dalla basilica di San Marco, cui la separazione dei colori, sommata all’esperto disegno delle architetture attribuisce la magia di un’ambientazione orientale. Quella di Uno strambo in Piazza San Marco è stata scelta come immagine-guida della presente esposizione per varie ragioni, tra cui primeggia la posizione di assoluto rilievo nella parabola di una vita d’artista. Olivero realizzò, infatti, questa tela nel 1919, dopo il congedo dal servizio negli Aerostieri durante la Grande Guerra, vale a dire in un momento in cui prevaleva in lui l’esigenza di riaffermare la propria complessa identità. Per riannodare con il passato, Venezia – la città prediletta tra quante egli eresse a meta in Italia senza stabilirvisi – offriva lo spazio perfetto.
Il livello simbolico, affidato al sofisticato cromatismo oltre che alla maestria nella composizione e alla peculiare pennellata, si svela a sua volta nella sua forza di legame con gli altri generi praticati da Olivero stesso. Tra questi, il ritratto è testimoniato qui anche da Gino Bissoni all’età di tre anni, frutto, fin qui sconosciuto, di un accordo del pittore con il suo fedele critico Emilio Bissoni, padre dell’effigiato. Infatti, riguardo all’altro dipinto. Il bambino Bissoni nella Pinacoteca Matteo Olivero di Saluzzo, lungamente creduto l’unico su questo soggetto, ci si interrogava sul motivo per cui un ritratto infantile fosse rimasto nello studio del pittore invece di essere ritirato dai genitori. Grazie al confronto tra le due tele, si riconosce in quella di Saluzzo la malinconia consueta a Olivero nel rappresentare i bambini, perplessi e precocemente saggi nella loro innocenza, il che spiega come egli fosse stato indotto a rendere definitiva questa più lieve versione inedita.
Nella figura emblematica della madre Olivero concentrò, con l’amore e la riconoscenza, il rovello di una spiritualità irriducibile alla pratica religiosa corrente. La cara figura nerovestita si ritrova, a catturare lo sguardo, in cammino entro paesaggi invernali e nello struggente Ritratto dei tempi ultimi.
I colori della neve, che suscitarono e continuano a suscitare tanta ammirazione, lasciano spazio in questa mostra alla fascinazione dei riflessi della luce sull’acqua a Venezia e al ricordo del soggiorno a Parigi nel 1910. Del resto, come mostrano due serie di piccole opere in via di ricostituzione, entrambe le città restarono per tutta la vita, e superando la biografia, teatri in cui riversare memoria e passioni. Tale filone della veduta si conferma coerente con i paesaggi en plein air per lo stile rapido, conciso e caratterizzato dal vigore del tratto.
Altri soggetti risultano preziosi sia per meglio comprendere il metodo di lavoro in preparazione di capolavori – come i due studi per Solitudine-, sia per apprezzare la capacità di creare varianti, come le due, straordinarie, da riferire a Funerali a Casteldelfino.
Si impone su tutte le pur notevoli novità da recuperare al catalogo di Olivero la grande tela Il raccolto: un doppio omaggio a Giovanni Segantini e a Giuseppe Pellizza da Voi pedo, maestro ideale il primo e amico, in una profonda intesa artistica, il secondo. La scoperta di questo capolavoro aiuta a riconsiderare la posizione di Olivero nell’ambito del Divisionismo, una posizione personale nell’interpretare la tecnica pittorica e tuttavia perfettamente consapevole dei modelli fondatori.
La mostra è a cura di Antonio Musiari e sarà aperta al pubblico nei seguenti giorni e orari:
30 settembre – 8 dicembre 2023
Orari di visita: dal lunedì al venerdì dalle 8:00 alle 20:00. Il sabato visite guidate su prenotazione.
Inaugurazione: Sabato 30 settembre 2023 dalle 18:00 alle 20:00
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